A pochi giorni dall’esito del referendum che ha sancito la volontà popolare degli abitanti del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, il dibattito, se possibile, è ancora più acceso dei giorni che hanno preceduto il voto. Chi ritiene che la Brexit sia di fatto una resa dei conti di politica interna, chi punta il dito contro l’accusa di populismo rivolta a quanti hanno votato a favore del leave (perché si parla di populismo se vince la parte che non condividiamo e di democrazia se il risultato del voto conferma le nostre idee?), chi mette in discussione l’utilizzo del referendum per dirimere questioni di politica internazionale. Per quanto riguarda i passaggi pratici, la narrazione di questi giorni ci vuole tutti in attesa che Londra notifichi la sua volontà di uscire dall’Unione, attivando formalmente l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola la procedure della fuoriuscita di uno stato membro.
Attivazione che potrebbe anche non arrivare tanto presto, sebbene il messaggio arrivato da Bruxelles sia stato chiaro: no notification, no negotiation. C’è però un aspetto che pochi commentatori hanno evidenziato nell’illustrare i futuri scenari possibili indipendentemente da questa notifica. “Quello a cui abbiamo assistito il 23 giugno è un referendum consultivo, che in quanto tale permette al popolo di esprimere la propria opinione. Ma spetta al parlamento decidere se prendere in considerazione o meno l’esito del voto”, spiega Giunia Gatta, adjunct professor al dipartimento di policy analysis and public management dell’Università Bocconi di Milano.
Vuol dire che, sulla carta, il parlamento britannico potrebbe decidere di rimanere nell’Unione Europea al di là del voto popolare? “Sì, tecnicamente potrebbe, e tra l’altro i tre quarti dei membri del Parlamento erano a favore del remain. Ovviamente i costi politici di ignorare l’esito di questo referendum sarebbero enormi, soprattutto in termini di credibilità della classe politica”.
Insomma, la Brexit potrebbe non essere ancora così Brexit… “Ci sarebbero ancora alcune opzioni possibili per non uscire dall’Unione, per esempio, se due terzi del Parlamento attuale chiedessero nuove elezioni, la campagna elettorale sarebbe centrata sulla questione dell’Europa, e se la maggioranza dei rappresentanti eletti ricevesse mandato sul remain, allora questo mandato renderebbe obsoleti i risultati del referendum del 23 giugno. Oppure, in base al recente parere espresso dalla Camera dei Lord, uno dei parlamenti nazionali, per esempio la Scozia, potrebbe arrogarsi una opportunità di veto ed esercitarla.
La verità è che in questo momento lo spazio della politica è ancora enorme perché i vincoli legali sono pochissimi”. Qual è stato l’ultimo referendum consultivo in Italia? “E’ stato anche l’unico e per tenerlo fu necessaria una legge costituzionale. Si svolse nel 1989, per sentire il parere popolare sul conferimento o meno di un mandato costituente al Parlamento europeo che veniva eletto nella stessa occasione”. Per la cronaca, vinsero i sì.