Alla pubblicità non piacciono le donne che lavorano. A meno che…

E’ più facile incontrare una donna che si accompagna a una pantera nera mentre gusta un gelato a Parigi che una donna che lavora. Almeno nella pubblicità, e non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Attenzione, questo non è il “solito” articolo sulla mercificazione del corpo femminile per vendere, di cui avevamo parlato qui. Il tema messo sul campo dall’esito di una recente ricerca, realizzata da Unilever e durata due anni, è che solo il 3 per cento delle donne che compaiono in spot o immagini di advertisement viene ritratta mentre lavora (occupazioni domestiche escluse) o mentre contribuisce all’economia globale.  Nel 97 per cento degli annunci pubblicitari le donne hanno ruoli secondari o di cura. E’ chiaro che certe affermazioni vanno verificate, e quindi telecomando alla mano sono di fronte alla televisione, io sì, a lavorare.

Passano nell’ordine, la Finocchiaro che aiuta Banderas a fare la pasta dei tarallucci (è evidente che si tratta di un aiuto su base volontaria, il piacere di stare vicino ad Antonio non ha prezzo), donne alle prese con onicomicosi mentre si vestono, fastidiosi pruriti vaginali mentre si tenta di riposare sul divano, donne che “scelgono come essere” facendosi lo scrub sotto la doccia (sì magari dopo vanno a lavorare, ma nello spot si lavano), donne over settanta che hanno un nuovo preparato per salire le scale, ragazze giovani pronte a nuove avventure con un nuovo shampoo. E poi il rimmel per le ciglia a farfalla (a farfalla?!), il revitalift, il deodorante per ascelle da baciare (no, non in ufficio), l’incontinenza mentre corri con i nipoti sulla spiaggia, il sollievo intestinale per andare in bicicletta, i solari intelligenti (no, non è smartworking quello della modella, prende proprio il sole sulla spiaggia). Insomma, per provare a capire quale sia il 3 per cento delle donne rappresentate nell’advertising con un ruolo di professioniste, ripiego su Google, che non tradisce mai. E infatti mi imbatto in questo. Ecco dove si nasconde il tre per cento di donne rappresentate come professioniste: