Un secondo. E non sei più umano.

Ci deve essere stato un secondo in cui hai realizzato che la nuca a cui tenevi puntata la pistola era quella della donna che un tempo avevi amato, o che il collo che stavi stringendo era quello della donna che ti aveva dato un figlio, figlio di cui pensavi già a come liberarti, o che l’odore di alcol che sentivi proveniva dagli abiti e dai capelli di una ragazza che aveva occupato il tuo cuore prima di diventare, senza colpa alcuna, la tua ossessione.

Anzi, c’è stato di sicuro quel secondo. Il secondo in cui sei tornato umano e hai avuto una scelta, hai avuto la possibilità di evitare il peggio, di cancellare tutto il male prima che avvenisse. Eppure, l’hai lasciata scivolare come sabbia tra le dita, il secondo è passato, e tu hai chiuso gli occhi.

E hai premuto il grilletto.

E hai stretto fino all’ultimo respiro.

E hai visto la fiamma avvampare.

Così Sara, Michela, Federica sono morte, sono diventate ultimi nomi di un elenco di vittime di una guerra non dichiarata e senza scopo, nomi che hanno riempito i talk show, le chiacchiere dai parrucchieri, le colonne di un giornale.

Voi no, nessuno vi chiama per nome, come se non foste individui ma sempre lo stesso mostro che si replica, perché in fondo siete tutti uguali, codardi e immaturi alla stessa maniera.

Eppure io voglio scrivere i vostri nomi.

Luigi, tu hai strangolato Federica, e hai trovato la forza di sparare alla nuca di tuo figlio di quattro anni. Ma di vivere, di affrontare la tua colpa, no. L’ultima pallottola, purtroppo non la prima, l’hai tenuta per te.

Manuel, tu hai ammazzato Michela, le hai sparato quattro colpi, e anche tu non hai avuto il coraggio di affrontare il peso abnorme del tuo delitto, e come potevi, figuriamoci, non eri stato capace nemmeno di affrontare il peso normale di una separazione.

Vincenzo, tu hai strangolato Sara, e le hai dato fuoco. Poi, e in questo sei diverso, sei tornato al lavoro. Come speravi di farla franca, fammi capire? Con la tua auto avevi speronato quella di Sara, eri finito nelle riprese delle telecamere. Eppure ci hai provato.

Vincenzo, Manuel, Luigi, siate maledetti, come tutti gli altri che vi hanno preceduto. Anzi, già lo siete, la vostra maledizione non è il rimorso per quel che avete fatto, no di certo. È quel secondo prima. Quel granello di sabbia che avete lasciato scivolare in un abisso così profondo.

Una domanda si affanna, rabbiosa e inutile, nella mia testa.

A cosa è servito?

***

Un secondo. Quanto dura un secondo? Così poco che per scrivere queste poche parole ne ho impiegati una decina. Però non tutti i secondi sono uguali. Alcuni hanno il potere di dilatarsi sino a segnare l’avvenire. Il secondo in cui abbiamo chiuso gli occhi per il nostro primo bacio, quello in cui sono venuti al mondo i nostri figli, quello in cui abbiamo salutato per sempre una persona cara. Questi ce li ricordiamo tutti. Ma il secondo precedente cos’è successo? Quale tumulto agitava le nostre menti e i nostri cuori? Ecco, le storie della domenica racconteranno questi “secondi prima” dei secondi eterni, quelli in cui gli occhi stavamo per chiuderli, le mani per lasciarle o prenderle. Momenti veri o immaginari, vissuti da personaggi più o meno pubblici o ignoti o anche solo da me (ogni autore è narcisista).  Perché forse ce li siamo scordati, eppure non sono mai andati via. Quali sono i “Secondi Prima” dei secondi che hanno cambiato la vostra vita? Raccontateli a giulianopasini@gmail.com e, se vorrete, diventeranno storie.