Una mattina mia figlia ed io abbiamo litigato e la strada verso l’asilo è stata lunga come la traversata di un deserto. Dovrei scrivere che l’ho rimproverata, ma in realtà non è stato così. Avevo sonno quanto lei ed ero ancora più malmostoso. Il problema è che io di regole ne so poco, lei meno di me. Sa solo che non le piacciono ed è la stessa cosa che so anche io, delle regole.
Quando questioniamo è sempre per lo stesso motivo. Lei la pensa diversamente da me, io la penso come lei, ma non posso sbracare. La storia della genitorialità me lo impone. Non correre, che sudi! Dormi adesso, che domani c’è scuola! Non si gioca con il cibo! Non si scherza con queste cose, sono litanie vecchie come il mondo, e io non ho la statura morale per essere il riformatore che tanti aspettano.
Il campo di gioco di un genitore è un insieme di insegnamenti pratici e morali polveroso come un ninnolo da credenza. Lo slancio pedagogico muore quasi sempre nella collisione con l’empatia, quando la stanchezza rende intrattabili gli adulti e capricciosi i piccoli. E’ questa vicinanza la vera sfida: indicare senza imporre. Sfida ampiamente persa. Ogni occasione giustifica fretta e rimbrotti. La forza dei genitori è sempre troppo spesso l’esercizio del potere. Del potere del fare o non fare, del concedere oppure no, del premiare o punire. Quando invece si vorrebbe solo un momento di silenzio o di sfrenata follia, senza avere consapevolezza delle conseguenze.
Ho guardato così tanti film d’animazione, prima bambino, adesso adulto con mia figlia. Ci sono sempre genitori che sbagliano per amore, per proteggere, per normare. Allora pensavo “cattivi”, ora lo stesso, ma nella testa mi dico “stronzi”, poi guardo mia figlia accanto e cerco di spiegare che è amore, che è a fin di bene, e vedo il vuoto nei suoi occhi. A fin di bene? Il vuoto dell’incomprensione. Così mi rendo conto delle parole, buttate senza convinzione, e mi sento dire bla bla bla. Facile cambiare bandiera e orizzonti, da figlio a genitore, da dipendente a capoufficio, da lavoratore a datore di lavoro. Difficile continuare a stringere fra le mani leggerezza, comprensione e giustizia.
La prima volta che ho chiesto scusa a mia figlia per un rimprovero inutile mi sono sentito leggero e fare la pace è stato una meraviglia. Chiediamo scusa degli sbagli, facciamolo senza ritegno, in fondo siamo dei principianti assoluti, apprendisti stregoni.