“I maschi sono più forti delle femmine“. Ecco, rivelazioni così di solito arrivano quando il mio livello di guardia è piuttosto basso, tipo la mattina, tra un lavati i denti e un mettiti le scarpe, non necessariamente in questo ordine e non necessariamente detto da sveglia. Frasi così spereresti di sentirle da un uomo adulto (sì, in alcuni casi quel linguaggio sarebbe plausibile) quando sei in fase di sindrome premestruale, per darti l’alibi di uno sfogo come si deve. Ma invece a pronunciarla è un bambino di cinque anni che capita essere tuo figlio, e qui le cose cambiano.
Perché entri in modalità educativa. E devi svegliarti per forza. Da un lato sai che è un po’ vero che i maschi sono più forti delle femmine. E’ quello che cerchi di spiegare al tuo istruttore di Krav Maga che si ostina a ripetere che non importa che tu sia alta un metro e cinquanta per cinquanta chili, con certe mosse puoi abbattere anche un gigante. Il punto è che un gigante non si allena due volte a settimana per abbattere me, e quindi una certa differenza di genere ci deve essere. Pertanto, quale che sia, la mia risposta a Francesco non deve negarla questa differenza, sono una madre intellettualmente onesta, io. D’altra parte, sto formando un uomo del futuro e scrivo per Alley Oop, nemmeno posso tramandare acriticamente stereotipi che possano minare alla base pari opportunità, conciliazione e i legittimi sogni della prossima Samantha Cristoforetti, che magari è pure sua compagna di asilo. Così uso una tecnica presa in prestito un po’ dalle arti marziali, un po’ da Socrate e anche un po’ da un mio ex capo che mi insegnò a togliermi dall’imbarazzo di alcune conversazioni, quelle in cui si chiedevano soldi alla sua azienda, ribaltando l’onere della prova sul mio interlocutore con la domanda “che cosa intendi?”. Che declinata nella conversazione pedagogica con un bambino di cinque anni diventa Perché? Perché per te i maschi sono più forti delle femmine?
Lui: Perché i maschi a braccio di ferro vincono.
Bene, restringiamo il campo. Cambio registro e attingo all’arte retorica appresa nella cinematografia giudiziaria americana, Tom Cruise che interroga Jack Nicholson in Codice Rosso.
Io: Hai mai visto un maschio e una femmina che fanno braccio di ferro?
Lui: No.
Io:E allora come fai a dirlo che i maschi a braccio di ferro vincono?
Lui: (Pausa) Beh, i maschi possono prendere uno scudo e con quello scudo diventano invincibili.
(Assist per le pari opportunità)
Io: Beh, anche le femmine possono prendere uno scudo.
Lui: (Pausa, più lunga)
E qui assisto a una di quelle meraviglie della natura che la famiglia Angela se le sogna. Perché guardare negli occhi giganti di una creatura alta poco più di un metro mentre cerca la soluzione a una difficoltà mai sperimentata prima è uno spettacolo al cui confronto l’aurora boreale sbiadisce. Sono davanti al processo creativo (maschile) puro.
Lui: Sì ma alla femmina lo scudo potrebbe cadere di mano e cadere in mare e potrebbe mangiarselo un coccodrillo.
Bravo Francesco, la dimostrazione per assurdo, la migliore. E davanti ai coccodrilli di mare, in attesa di indicazioni del mio istruttore, alzo bandiera bianca.