Più degli alimenti, più delle festività, più delle giornate da passare insieme. La scelta della scuola per i figli è fra gli argomenti di lite più comuni dei genitori, che arrivano a portare la questione in Tribunale se sono separati. E’ stato il caso di una coppia di Milano con figli di 9 e 12 anni, che prima della separazione frequentavano una scuola privata cattolica parificata. Cambiate le condizioni economiche familiari il papà aveva deciso di spostare i figli alla scuola pubblica, la mamma è quindi ricorsa dal giudice per veder garantito il diritto dei figli alla continuità scolastica.
Chi ha vinto? Il giudice, Giuseppe Buffone, ha dato ragione al padre. Dare ragione alla madre, alla luce di una migliore scelta per i figli, avrebbe voluto dire mettere nero su bianco che la scuola privata è migliore di quella pubblica. Per il giudice, invece, quest’ultima è una scelta neutra che non orienta il futuro dei ragazzi.
I problemi, a mio avviso, sono di due ordini: certo che per i ragazzi sarebbe stato meglio proseguire il corso di studio con i compagni e gli insegnanti che hanno conosciuto negli ultimi anni. Così a cambiamento (quello familiare) si unisce cambiamento (quello scolastico). E’ pur vero, però, che il garantire loro le stesse condizioni di benessere è, come lo ha definiti il giudice, “un diritto immaginario”. Come costringere, infatti, il padre a provvedere economicamente a un tenore di vita pari a quello precedente se le condizioni finanziarie della famiglia sono cambiate? Si rischia di cadere così nell’errore di non garantire i diritti dei padri separati. I dati parlano di 150mila padri in condizioni di indigenza e al tema la Caritas ha dedicato il rapporto “Povertà e vulnerabilità dei genitori separati”. Alcuni studi indicano che un terzo dei padriseparati (30,6%), pagato l’assegno di mantenimento, dichiara di poter contare su un reddito residuo mensile che va dai 300 al 700 euro, il 17% dai 100 ai 300 euro.
Ma torniamo alla sentenza del Tribunale di Milano riguardo alla scuola: il secondo aspetto da considerare è la qualità dell’educazione dei ragazzi. E qui si apre il consueto confronto tra chi non si vuole affidare alla scuola pubblica perché preferisce un ambiente di studio più strutturato e controllato, e chi invece sceglie proprio i “banchi statali” per far studiare i figli in un ambiente che rifletta, nel modo più veritiero possibile, la realtà che i giovani si troveranno ad affrontare una volta usciti dal percorso di studi. Come uscirne? Qualche dato viene fornito dalla studio dell’Ocse dedicato alle scuole The Programme for International Student Assessment (PISA). In base alle rilevazioni che comparavano scuola pubblica e privata era emerso che nelle tre “specialità” (Reading, Mathematics, Science), in cui i ragazzi di 15 anni vengono testati, la scuola statale italiana risulta al di sopra di metà classifica, tra la 25esima e la 28esima posizione (su 64 paesi) con un punteggio medio degli studenti è da 1 a 3 punti al di sopra della media. Nelle scuole parificate l’Italia perde 20 posizioni, oscillando tra la 47esima e la 49esima posizione (su 61 paesi) con studenti che ottengono punteggi tra i 70 e i 73 punti inferiori alla media Ocse (relativamente al settore privato). Se si guarda al rendimento, all’estero le scuole private sopravanzano quelle pubbliche. In Italia è esattamente il contrario: gli studenti delle scuole private ottengono un punteggio (medio) tra i 37 e i 41 punti inferiore ai loro colleghi della scuola statale.
Certo le classifiche lasciano il tempo che trovano, ma a livello professionale la scuola pubblica italiana gode ancora di buona reputazione, non solo in Italia, grazie ai numerosi insegnanti che ogni giorno trovano le motivazioni per entrare in classe e insegnare. Ma la vera marcia in più della pubblica è trovarsi seduti sui banchi un giorno accanto al figlio di un disoccupato e l’altro accanto al figlio di un imprenditore. Cosa impari? Qualcosa che nessun programma scolastico può insegnarti.