Se ne incontrano spesso, di imprenditori italiani che si lamentano di non avere nessuno da mandare all’estero. Nessun manager che sia disposto a trasferirsi in Cina per dirigere il nuovo stabilimento produttivo. Nessun tecnico felice di trascorrere fuori casa sei mesi l’anno per mettere in funzione i macchinari ordinati dai clienti. Nessun commerciale che abbia voglia di dormire negli alberghi di mezzo mondo quattro giorni alla settimana su cinque. Ebbene, imprenditori: avete chiesto alle giovani donne? Pare che il 71% delle ragazze tra i 20 e i 35 anni sia assolutamente disposta a viaggiare, pur di fare carriera.
Il dato è interessante e emerge da uno studio condotto da PricewaterhouseCoopers su circa 10mila Millennials sparse per una settantina di Paesi del mondo. Tragedie come quella del pullman di studenti Erasmus in Spagna, come gli attentati terroristici di Istanbul e Bruxelles, non bastano a scalfire i sogni delle ragazze. Le giovani di oggi sono e restano global: viaggiare non le spaventa, anzi. Ne sono felici, soprattutto se questo un giorno le aiuterà a fare carriera. Considerato che al giorno d’oggi le donne sono solo il 20% di chi ha un incarico all’estero, i margini di miglioramento sono piuttosto ampi.
Le più intraprendenti vengono dal Brasile, dal Messico e dagli Emirati Arabi: qui ben l’88% delle donne intervistate desidera un’esperienza lavorativa all’estero. Più casalinghe le giapponesi (solo il 51% di loro è disposto a viaggiare), e ancora di più le olandesi, che dicono sì al trasferimento all’estero solo per il 41%. La scomodità, invece, non spaventa nessuna: oltre il 62% delle Millennials pare non avere problemi ad andare a lavorare in un Paese in via di sviluppo.
Voglia di fare carriera all’estero. Anche questo, in fondo, spiega la fuga all’estero dei nostri giovani, delle nostre giovani: secondo gli ultimi dati dalle Camera di Commercio di Milano, negli ultimi due anni se ne sono andati dall’Italia, in cerca di fortuna, 3,3 under 40 ogni mille. Con una differenza sostanziale, però: a mandarli all’estero non è stato un datore di lavoro italiano. Loro un datore non ce l’hanno affatto: all’estero non costruiscono una carriera di ritorno. Cercano una carriera di sola andata.