“Questo è un momento molto complicato a livello comunitario e quindi tutta una serie di crisi si stanno mettendo insieme al punto da rendere l’attività legislativa molto complicata per una serie di ombre che si allungano sull’Europa”. Alessia Mosca, europarlamentare del Pd, parla con l’abituale energia e passione dei progetti che sta portando avanti in Europa, ma non nasconde le preoccupazioni per un contesto in evoluzione che vede spinte diverse che agitano l’Europa dalla Brexit alla risoluzione della vicenda profughi. Mosca, classe 1975, è stata eletta nel 2008 e nel 2013 confermata al Parlamento italiano, dal maggio del 2014 è al Parlamento europeo. Prima firmataria della legge per il rientro dei cervelli e con Lella Golfo della legge sulle quote di genere nei cda, ha portato a casa già risultati importanti, ma non bastano. E così continua a lavorare a Bruxelles per cambiare l’Europa nonostante i tempi di realizzazione: “Per quanto riguarda la direttiva sulla maternità e quest’ultima risoluzione a favore della parità di genere, temo che non ci sia un pregiudizio specifico, ma una congiuntura negativa. Non credo ci sia un’ostilità rispetto a queste tematiche. I temi al femminile fanno comunque più fatica in generale, ma al Parlamento Europeo questa sensibilità non manca. Mi auguro che almeno dopo giugno, quando si sarà risolta la vicenda con il Regno Unito, si possa rimettere il turbo a materie che ci stanno più a cuore. L’attività legislativa sta soffrendo una fase di lentezza perché tutto è appeso alle risoluzione di queste crisi”.
Qual è la portata innovativa della risoluzione approvata di recente dal Parlamento Europeo?
Si tratta della richiesta alla Commissione europea di approntare un piano strategico sulla parità di genere e i diritti delle donne, con obiettivi precisi e concreti, a cui corrispondano sostegni finanziari adeguati. Nel testo della risoluzione viene poi ribadita l’importanza della presenza nei luoghi di decisione, criticando lo stallo tuttora perdurante in sede di Consiglio sulla proposta di direttiva Women on Board. E si chiede anche che la nuova iniziativa della Commissione che dovrebbe occuparsi di work-life balance e congedi di maternità venga presentata al più presto. Non si può rimanere nel limbo.
L’Italia presenta ancora un panorama a due facce: da una parte l’innovazione delle quote nei cda e dall’altra un tasso di occupazione ancora fra i più bassi in Europa…
Il problema enorme dell’Italia, rispetto al quale il Paese porta la maglia nera in Europa, è il divario occupazionale e la carenza di servizi, due aspetti strettamente collegati. La normativa più protettiva d’Europa in tema di maternità non è sufficiente se poi abbiamo un’elevata percentuale di donne che lasciano il lavoro. Anche il basso tasso di natalità deve essere un campanello d’allarme, un segnale chiaro che le cose non vanno bene, per le donne ma conseguentemente per l’intera società.
Cosa cambierà l’arrivo dello smartworking?
La nuova legge sullo smartworking sarà complicata da implementare, perché richiede un cambiamento culturale importante, dal lavoro “a timbratura di cartellino” al lavoro per obiettivi, incentrato sui risultati. Avere una norma al riguardo aiuta evidentemente moltissimo, ma per attuarlo efficacemente serve anche molto altro. Spingerei perché si creino le condizioni perché dalla carta diventi realtà. E poi lavorerei a una modalità nuova per l’accesso ai servizi, non solo per le donne. Viviamo in una società dove, per fortuna, le esigenze sono sempre più condivise e non esclusiva di un unico genere. Anche gli uomini vogliono occuparsi dei figli o dei genitori anziani o, semplicemente, recuperare del tempo per sé.
Quale Italia che vuoi lasciare a tua figlia?
Il vero sogno è che queste non siano più questioni di cui discutere e che ci si possa dedicare ad altro. Non è un sogno di fantascienza perché anche nel contesto europeo in cui mi trovo la disparità di trattamento fra uomini e donne viene trattata a un livello molto più avanzato rispetto al nostro Paese. E mi auguro che questo passo avanti possa corrispondere al fatto che presto non debba più essere una scelta faticosa quella tra continuare a lavorare e avere figli. Inoltre, ripeto, non possiamo eludere il tema demografico.
I politici di professione sono spesso criticati. Ma non è necessario prepararsi a fare politica così come ogni altro lavoro?
Sì, si ha bisogno di alcune competenze, che si costruiscono anche attraverso una certa esperienza. Per quanto mi riguarda la battaglia che mi piacerebbe fare è quella di una maggiore coscienza civica dei ragazzi, che purtroppo al momento sembra mancare molto. La mia battaglia da europeista convinta è che ci sia un’obbligatorietà di educazione civica europea.
Qual è stata la tua figura di ispirazione?
Ho avuto la fortuna di avere grandi maestri. La scuola a cui sono cresciuta è stata l’Arel, fondata da Beniamino Andreatta, che anche se non ho conosciuto personalmente resta per me un punto di riferimento importante. Poi ho avuto una grande maestra, madrina politica di vita e di valori, Maria Paola Colombo Svevo, mancata qualche anno fa. L’altro mio riferimento è stato, inoltre, Enrico Letta. Credo sia un bene avere maestri di genere diverso.
Cosa non ti fa lasciare la politica?
Il momento in cui sto vivendo e dove lo sto vivendo, in piena tempesta perfetta. Credo che l’unione di cittadini europei, che abbiamo costruito, sia ora messa in crisi. Proprio per questo sento la responsabilità di portare avanti questo progetto europeo.
Cosa non ti fa dormire la notte?
Se uno si comporta in modo corretto, la notte dorme. E io cerco di comportarmi sempre in modo da dormire la notte.
Cosa hai capito a 40 anni che avresti voluto sapere a 20?
Non avrei voluto sapere a 20 anni quello che so ora, perché ogni età va vissuta con la consapevolezza che le è propria.
Un consiglio a un giovane (maschio) che vorrebbe intraprendere la carriera politica?
Il consiglio non cambia da uomo a donna: tenere sempre in mente che questo mestiere lo si fa se si comprende che come cittadini, quando le cose non ci vanno bene, non basta lamentarsi e distruggere, ma si ha il dovere di darsi da fare per cambiare e perché le cose vadano nel giusto verso. Questo dovrebbe valere per tutti, indipendentemente dalla professione.