“Tornare a lavoro non può che farti bene, vedrai!”. “Perché non ci pensi? Un nuovo progetto su cui investire può essere stimolante!”. “Ma stai dando esami all’università?” “Hai ripreso a fare lezione?”. “Perché non scrivi un libro?”. “Perché non apri un blog?”. “Perché non collabori con quella nuova rivista?”. “Dovresti dedicare più tempo al tuo cane, soffre se tu non ti occupi di lui”. “Certo, dovresti prenderti i tuoi spazi…”. “Ma dal parrucchiere quando vai?”
Ho 40 anni e un figlio di 9 mesi. E queste sono le cose che mi sento dire ogni giorno. Perché il timore che la nascita di un figlio comporti l’uscita dal mondo del lavoro, l’abbandono delle proprie aspirazioni personali e più in generale il trascurare i propri desideri non è infondato ed evidentemente pervade tutti quelli che ho intorno. Soprattutto le donne.
I dati diffusi dall’Istat lo scorso anno mostrano un’Italia che, se possibile, sta arretrando su questo fronte. Le motivazioni sono complesse e non vanno banalizzate ma i dati parlano chiaro: nel nostro Paese avere un figlio (o più) e continuare a lavorare non è cosa che va data per scontata.
Evitare che una donna debba scegliere tra un ruolo e l’altro, che debba fare dei passi indietro nella carriera (e questo i numeri lo mostrano meno) o addirittura lasciare il lavoro per occuparsi dei figli dovrebbe essere un obiettivo primario di un Paese come l’Italia. Obiettivo politico, culturale e sociale.
C’è un “ma”: quello che mi sento dire ogni giorno più che uno stimolo suona come un rimprovero, come una richiesta. A volte una pretesa. Che lavora sugli atavici sensi di colpa al femminile. “Devi essere tutto quello che eri prima di avere un figlio e anche di più. E devi esserlo ORA”. Non c’è tempo per vivere il momento che stai vivendo, quello che si vive con un bambino di nove mesi, per esempio. No, devi performare e competere, come professionista, come donna, come compagna, come madre. Subito.
Ma siamo sicuri che sia questo il supporto di cui hanno bisogno le donne che hanno avuto un figlio? E noi donne siamo sicure che sia questa, uguale per tutte, la strada della realizzazione?