Welfare che impresa: quando la startup è sociale

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Non solo fintech e automotive. Chi l’ha detto che l’innovazione e la tecnologia facciano bene solo alle imprese del settore finanziario o automobilistico? Le startup possono nascere infatti anche in settori apparentemente meno disruptive, come per esempio il welfare. È questo il caso di Italia non profit, Jobiri, Local To You e Tripmetoo: le quattro startup vincitrici della seconda edizione di “Welfare, che impresa”. Il concorso, dedicato alle stratup “sociali”, promosso da Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Bracco, Fondazione Golinelli, Fondazione Snam e UBI Banca con il contributo scientifico di AICCON e Politecnico di Milano.

Scelte tra oltre 150 progetti candidati, a ognuna delle quattro imprese vincitrici andranno 20mila euro in denaro e un finanziamento fino a 50 mila euro a tasso zero offerto da Ubi Banca. Inoltre le quattro imprese parteciperanno al percorso di incubazione o di accelerazione (in base al loro stadio di sviluppo) della durata di quattro mesi a cura di PoliHub (Milano), Social Fare (Torino) e Campania NewSteel (Napoli). La giuria ha deciso, inoltre, di assegnare un riconoscimento speciale al progetto AGRIshelter (progetta case temporanee per situazioni di emergenza da costruire con le risorse locali e con materiali naturali) che è stato premiato con un contributo in denaro di 10mila euro messo a disposizione da Fondazione Italiana Accenture e Fondazione Snam e un finanziamento fino a 50mila euro a tasso zero di Ubi Banca.

Ma cosa sono precisamente le startup sociali? Sono quelle imprese che si occupano di progetti innovativi – hanno spiegato gli organizzatori – “dedicati al welfare di comunità e capaci di favorire la coesione sociale, lo sviluppo e il fare rete”, nei seguenti settori: agricoltura sociale; valorizzazione del patrimonio culturale e conservazione del paesaggio; welfare culturale e inclusivo; servizi alla persona e welfare comunitario.

Aiuta a fare rete, per esempio, Italia non profit. La startup premiata per aver creato una piattaforma gratuita che raccoglie i dati di tutte le organizzazioni non profit italiane attive nel terzo settore. Grazie a questo strumento, i cittadini possono scoprire come gli enti sono organizzati al proprio interno, capire per quali progetti raccolgono fondi, su quali beneficiari producono impatto, come operano e da quali valori sono ispirati.

Jobiri aiuta invece chi è alla ricerca di un impiego, attraverso il primo consulente di carriera virtuale. Grazie all’applicazione dell’intelligenza artificiale al meccanismo di selezione, la startup ha creato un sistema che accelera l’inserimento lavorativo e che, allo stesso tempo, supporta le Istituzioni rendendo moderni e digitali i programmi di politica attiva che puntano a  promuovere l’occupazione.

Ha puntato sull’agricoltura sociale Local to You. La startup bolognese, nata nel 2016, ha vinto per avere ideato una piattaforma online dedicata alla vendita di prodotti biologici di stagione con una marcia in più. A coltivare frutta e verdura acquistabile su Local to You sono infatti solo cooperative che impegnano persone con fragilità. Un modo green per favorire l’inclusione.

Il cavallo di battaglia dell’ultima vincitrice sono stati i viaggi “senza barriere”. Triptomee punta infatti ad aiutare viaggiatori e operatori del settore a costruire un nuovo modo di vivere il turismo basato sulla diversità, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. Consentendo, anche a chi ha esigenze speciali, di costruire esperienze di viaggio tailor made personalizzabili e modulabili.

Le startup sociali italiane sembrano essere in buona compagnia visto che secondo il Global Entrepreneurship Monitor sarebbero mediamente il 3-4% le nuove imprese globali con una missione dichiaratamente sociale, con picchi fino al 10% in alcuni Paesi, e con percentuali doppie rispetto a dieci anni fa. La dimostrazione quindi che l’innovazione a vocazione sociale fa bene sia alle comunità che all’economia.