Dimmi i tuoi “Mi piace” e ti dirò se sei gay. Si potrebbe riassumere così il risultato dello studio su Facebook eseguito dai ricercatori della Columbia Business School di New York, della Northeastern University di Boston e della New York University, e pubblicato sulla rivista Big Data.
La premessa: sempre più informazioni riguardanti noi stessi, la nostra vita, opinioni, gusti e preferenze circolano, consapevolmente e inconsapevolmente, sul web. Tutti abbiamo fatto l’esperienza di cercare un paio di scarpe su internet e di ritrovarci poi la casella elettronica invasa da mail con promozioni inerenti.
Si chiama targeting e lo utilizzano sia le società e le aziende di ogni tipo, impegnate a costruire modelli predittivi che classifichino gli utenti in categorie; sia i partiti politici, interessati ad individuare tra i cittadini quelli più permeabili a cui indirizzare le loro informazioni e campagne elettorali. Una pratica di routine, che però può diventare un serio problema quando invade in modo incontrollato e a prescindere dal loro consenso, la privacy delle persone.
Ecco perchè per tentare di arginare questa emorragia di informazioni, alcuni dei più importanti motori di ricerca come Firefox o Chrome hanno da tempo dato la possibilità ai propri utenti di navigare in modo anonimo.
Ma cosa succede quando ci spostiamo ad analizzare il fenomeno su Facebook? Secondo lo studio pubblicato da Big Data, basterebbero appena tre “Like” cliccati da un utente per permettere agli inserzionisti di capirne l’orientamento sessuale e indirizzare così le loro campagne. Nello specifico: se hai messo “Mi piace” a Lady Gaga, Glee (la serie tv del canale Fox) e a una Campagna per i diritti umani, hai un’altissima probabilità di essere gay. Se a questo poi aggiungi “Like” a Katy Perry, True Blood (la serie tv HBO) e lo Show di Ellen DeGeneres non ci sono davvero più dubbi sul tuo orientamento sessuale.
Al di là dell’ironia, la facilità di prevedere informazioni così importanti, è tutt’altro che da sottovalutare. In primo luogo perchè sempre a partire dai “Like”, si potrebbero dedurre anche altre caratteristiche di un utente, come il QI, religione, idee politiche, l’essere creduloni, introversi, dipendenti da droghe o da alcol, eccetera. In secondo luogo perchè, se come già detto navigando su un motore di ricerca posso rimanere “anonimo”, questo non è possibile invece su Facebook, dove ad oggi non è data all’utente alcuna possibilità di occultare i propri “Like” al sistema.
Partendo dalla responsabilità di ognuno a non diffondere con leggerezza informazioni su di sè in rete, quali conseguenze potrebbe avere una rilevazione non controllabile (dall’utente) come questa, sono gli stessi autori dello studio a spiegarlo. Riguardo l’essere gay, ad esempio, dedurlo statisticamente da Facebook potrebbe essere un serio problema. Soprattutto in alcune zone del mondo. Cosa accadrebbe infatti se proprio i “Like” sul social network fossero utilizzati da uno Stato integralista per individuare le persone da arrestare per sodomia? E ancora, le implicazioni e le ripercussioni potrebbero riguardare più campi, come ad esempio il condizionamento di elezioni politiche, divulgando fake news o informazioni strumentalizzate proprio ad utenti individuati come più creduloni o permeabili all’argomento. Preoccupazione oggi valida più che mai dopo quanto potrebbe essere accaduto con le ultime elezioni presidenziali USA (forse condizionate dalla Russia usando la rete).
Eppure, ancora secondo i ricercatori americani, la soluzione potrebbe essere davvero semplice. Basterebbe infatti che Facebook introducesse un “dispositivo di occultamento” dei “Like” tra le proprie opzioni. In questo modo, gli utenti potrebbero dire al sito di non trarre alcuna inferenza (che riguardi orientamento sessuale o altro) dalle loro informazioni. Così facendo, impedirebbero di conseguenza anche a qualunque inserzionista di accedere a tali dati e di far comparire annunci, pubblicità, o notizie studiate per loro ad hoc.
Una soluzione che, vista la posta in gioco e il numero di iscritti (circa due miliardi in tutto il mondo), prima o poi potrebbe essere imposta a Facebook oltre che dal buon senso, dalla legislazione dei singoli Stati.