Quando la bufala online fa male alla salute

bufala-onlineLa bufala online può servire a vendere di più, a fare più click, a spostare preferenze politiche, fino a far male alle persone: quando si promuovono notizie errate in ambito salute si gioca con la vulnerabilità di pazienti che non trovano risposte dalla medicina tradizionale e di familiari disposti a sperimentare qualsiasi cosa e a pagare cifre esorbitanti per alleviare il dolore dei propri cari.

Eppure oggi la comunicazione della salute è fatta principalmente online: secondo un’indagine Medipragma l’81% degli Italiani dichiara di cercare in rete informazioni su sintomi, diagnosi, malattie e cure. Se però nel 58% dei casi le ricerche soddisfano le esigenze degli internauti, solo il 9% di chi si informa online si confronta poi con il proprio medico.

Così da un lato ci sono i medici che si lamentano del dott.Google, si riferiscono ai genitori che si informano come alle ‘mammine di Facebook’ ma raramente si attivano in prima persona per promuovere un’informazione corretta sui portali delle loro strutture sanitarie; e dall’altro ci sono i pazienti, più spesso cronici o di malattie rare, e i loro caregivers che si inventano questo mondo e quell’altro per tirare a campare, per schivare le bufale a pagamento, per discernere tra quelle dai pesanti effetti collaterali e quelle che invece sono solo innocua acqua calda.

Mettersi in mente di innovare il settore della salute dal basso non è cosa facile: quando va bene finisci nel girone dei ricatti morali, di chi non ti fornisce le cure adeguate perché hai osato ribellarti al sistema o della terapista col camice virginale che ti chiama ‘signora’ anche se hai un dottorato in neuroscienze; se ti va male, finisci invece di diritto nel calderone dei vari Vannoni, Di Bella e via dicendo.

Le informazioni validate possono però essere alla portata di tutti, se correttamente educati a consultarle, e anche il ‘paziente esperto’ che vuole prendere parte al suo processo di cura può riuscire a leggere un documento scientifico e schivare in prima battuta quella che gli americani chiamano ‘bad science’.

Andare oltre il titolo che urla al miracolo, verificare che i campioni utilizzati siano statisticamente significativi e che il committente della ricerca non abbia conflitti di interesse con chi esegue la ricerca, questi sono solo alcuni dei 12 consigli che permettono a tutti di distinguere la ‘scienza’ dalla ‘pseudoscienza’.

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Questo invece il demistificatore John Oliver, commentatore televisivo anglosassone, che riporta alcuni esempi di come sia facile per i media divulgare informazioni scientifiche non vere e incomplete:

Da guardare per capire perché scienza non è fare ‘cherry picking’ di nozioni che ci fanno comodo per supportare una tesi, scienza non è religione, ma anche che non basta un camice bianco per essere più autorevoli.