“Sofia ha iniziato il nido. Sono stata inserita nel primo gruppo Whatsapp di classe”. Il tweet della neo-mamma ha ricevuto la solidarietà di decine e decine di genitori che si trovano a condividere la stessa esperienza. I gruppi Whatsapp sono ormai un must della vita di papà e mamme italiane e c’è anche chi schernisce quanti non hanno ancora scaricato l’app e forse, proprio per questo, sono genitori un po’ meno attenti e presenti.
Eppure la questione ha una molteplice lettura. Ci sono i detrattori dell’iniziativa, che o passano alla lotta quotidiana contro la deriva della chat o, prima o poi, stufi abbandonano il gruppo con santapace per quanto si perderanno. Ci sono poi quelli che sopportano con pazienza perché, una volta ogni dieci, c’è un messaggio importante su uno sciopero o una riunione di classe e avere un campanello d’allarme per chi lavora e corre tra casa e ufficio è prezioso. Ci sono quelli, poi, che “il gruppo è fondamentale per sapere esattamente quali compiti i bambini devono fare o di che materiale hanno bisogno, perché le maestre non fanno più scrivere, come una volta, tutto sui diari”. E infine, ci sono quelli che hanno bisogno di placare il proprio bisogno di appartenenza e ritrovarsi in un gruppo con cui confrontarsi su ogni cosa, magari affermando la propria opinione, li rende meno soli e isolati nel mestiere di genitori.
E proprio quest’ultima categoria fa partire sulle chat i confronti più improbabili: dalle merendine da vietare perché contengono sostanze dannose all’educazione ambientale dei figli; dal modo corretto di fare il tifo al torneo inter-classe per spronare i figli a vincere ma senza creare loro pressioni all’opportunità o meno di spiegare ai figli come nascono i bambini. E questo quando va bene e il tema centrale restano i bambini. In casi limite sul gruppo di classe si commenta l’ultima dichiarazione di Renzi, l’esclusione di un vip dal GF oppure la scelta della destinazione per la settimana bianca. L’ultima frontiera è quella suggerita da un lettore del mio post Contro il registro elettronico e i gruppi Whatsapp dei genitori: l’organizzazione dei gruppi di compagni di classe per la ricerca di Pokemon in giro per il paese. Probabilmente nell’accezione di attività extra-scolastica.
I gruppi Whatsapp, come d’altra parte i social media, inoltre, sono in grado di tirare fuori istinti reconditi perché lo schermo del digitale ci permette di osare di più. Così non mancano gli attacchi alle maestre (perché non aprono le finestre per cambiare l’aria? Perché interrogano sempre le stesse persone? Perché le verifiche sono sempre di lunedì così rovinano il week end ai bambini?), agli altri genitori (perché accompagna in classe il figlio quando è vietato? Perché permette al figlio di prendere in giro gli altri compagni e non interviene? Perché non compra al figlio i fogli da disegno così evita di chiederli in presto agli altri?) e anche, purtroppo, ai bambini (perché ha sempre un atteggiamento così aggressivo? Perché la classe deve rallentare per lui visto che è così lento a scrivere? Perché alza sempre la mano per rispondere alle insegnanti volendo umiliare gli altri?). Una volta si diceva che la gente andava la domenica a sfogare la propria aggressività allo stadio. Oggi non c’è neanche bisogno di uscire di casa e pagare un biglietto: basta digitare qualche messaggio critico sulla tastiera del nostro smartphone.
Ma aldilà di tutto, resta il fatto che i veri protagonisti non siamo noi, ma sono i nostri figli che di quella classe fanno parte. I gruppi Whatsapp, come d’altra parte la pubblicazione su Facebook di giustificazioni scritte alle maestre, sono un mezzo per i genitori di appropriarsi di qualcosa non loro. Se abbiamo tanto bisogno di mandare a qualcuno il buongiorno (perché diciamocelo, capita anche questo in molti gruppi) o di pubblicizzare le nostre scelte personali, cerchiamo di usare altri palcoscenici. Lasciamo ai nostri figli i loro spazi, anche perché l’uso che noi facciamo di questi gruppi non è poi così indifferente nella loro crescita. Come già ebbi modo di scrivere.