Un anno e 20 giorni fa perdevo una persona amata. Nello stesso doloroso anniversario, il Regno Unito sceglieva di perdere l’Europa unita. Ognuno di noi ha vissuto – o vivrà – l’irreversibilità di episodi simili. Questi sono i giorni in cui ci sentiamo inevitabilmente sconfitti e rimpiangiamo tutto ciò che avremmo potuto fare – e che non potremo più.
Ma neanche l’inevitabilità della morte o la tristezza di un divorzio sono problemi dalle conseguenze irrimediabili. Al contrario, “i semi della resilienza si piantano
nell’affrontare le tragedie della nostra vita” – come esemplifica Sheryl Sandberg, COO di Facebook, nel raccontare il superamento della perdita del marito ai laureandi di Berkley.
Il segreto per passare da resa a resilienza sta in tre “P” che sono il risultato di decenni di ricerca condotta dallo psicologo Martin Seligman e che possono essere riassunte nelle seguenti ricette.
Nulla è personale. La personalizzazione è il processo secondo cui ci concentriamo sul latte versato e ci addossiamo le responsabilità dell’accaduto. “Avrei potuto tirare quel rigore differentemente.” “Avrei potuto spendere più tempo con mio nonno prima che se ne andasse.” La chiave per trasformare il fallimento in futuro è osservare gli eventi come tali e non come proiezioni della nostra persona.
Nulla è pervasivo. Quella che potremmo chiame la “sindrome di Fantozzi” è la tendenza a trasformare un incidente specifico in una legge universale, l’inclinazione a vedere tutto nero. Tuttavia, lasciarsi con una fidanzata non vuol dire essere destinati alla solitudine, ad esempio. Spezzare questo circolo vizioso richiede concentrarsi su dettagli positivi. Come? Studi scientifici dimostrano che scrivere tre ragioni per cui siamo grati a fine giornata o mandare quotidianamente un messaggio per dire “grazie” sono esercizi di resilienza e,
addirittura, produttività.
Nulla è permanente. “Ora e per sempre” può essere tanto una promessa quanto una trappola. Emozioni come tristezza e dolore non possono essere rinnegate – dire ad un’atleta “non essere delusa” al termine di una sconfitta è inefficace, insensibile e poco intelligente. Ma accettarle non vuol dire renderle una condizione permanente.
Eventi come la morte sono indesiderati, ma inevitabili.
Viverne le conseguenze negative in maniera personale, pervasiva e permanente è, a lungo termine, dannoso quanto il fumo o l’obesità, per noi e per chi ci circonda. Rovesciare le tre P vuol dire scegliere felicità e resilienza.