Strage di Bondi Beach: “Noi eravamo lì e la nostra normalità si è interrotta di colpo”

Un uomo di fronte ai fiori offerti per onorare le vittime della strage di Bondi Beach del 14 dicembre 2025 a Sudney, Australia. REUTERS/Eloisa Lopez

Quando ha sentito il primo proiettile, Sergi Canovas, spagnolo trasferitosi in Australia da diversi anni, ha pensato che si trattasse di un fuoco d’artificio sparato in aria per celebrare Hanukkah, la festa ebraica che celebra la riconsacrazione del tempio di Gerusalemme. Stava per partecipare anche lui alla celebrazione sulla spiaggia di Bondi beach lo scorso 14 dicembre, a Sydney, ma all’ultimo momento, con sua moglie e le sue figlie hanno cambiato idea. Si sono diretti in un ristorante poco lontano dalla spiaggia ed è da lì che hanno capito, poco dopo, che non si trattava di fuochi d’artificio, ma di una sparatoria. 

Nei minuti seguenti sarebbero state uccise 15 persone e altre 42 ferite. Dieci sono gli anni della vittima più giovane dell’attentato a Bondi Beach. Si chiamava Matilda. Le figlie di Sergi di anni ne hanno 12 e quando sono iniziati gli spari si sono nascoste, come tutti gli altri avventori del ristorante. «Abbiamo provato a fare silenzio, per non attirare l’attenzione degli attentatori, ma alcuni bimbi più piccoli hanno iniziato a piangere e il ristoratore ha aperto la porta sul retro per farci scappare. Una signora del posto ci ha accolti in casa sua. Siamo rimasti lì per ore, in attesa che la situazione si calmasse» – ricorda. Nel frattempo, le comunicazioni sui cellulari sono state bloccate. In pochi minuti, il silenzio digitale è diventato parte dell’incubo. E la normalità si è interrotta di colpo.

L’aumento della violenza

Bondi Beach non è un luogo qualunque: è una spiaggia iconica, sinonimo di gioia e di vita all’aria aperta, uno spazio per famiglie e bambini. È considerata il cuore leggero della città. «Veder colpito questo luogo è stato uno shock profondo. Gli australiani sono persone molto socievoli, questo è un paese pacifico. Un evento del genere ha avuto un impatto devastante» – commenta Rossana Bellina, avvocata italiana residente in Australia da diversi anni.

In verità, la comunità ebraica aveva visto già negli ultimi mesi un aumento degli episodi antisemiti che avevano portato il governo australiano ad adottare delle misure di sicurezza.  Misure che non hanno bloccato l’attacco jihadista compiuto da Sajid Akram e il figlio Naveed. Un attentato che, fa notare Ispi in una nota, va letto nel quadro delle attuali tensioni geopolitiche, specie in relazione alla guerra a Gaza.

Il costo della paura

Nei frattempo, raccontano Rossana e Sergi, nei giorni immediatamente successivi all’attacco, Sydney si è raccolta in un cordoglio spontaneo e profondo con lunghe code per donare il sangue e una quotidianità ripensata, con molti eventi cancellati. «È in tutto ciò che scegliamo di non fare, che si legge il costo della paura. È nel modo in cui proviamo a spiegare ai nostri figli ciò che è apparentemente inspiegabile, che rileviamo la nostra vulnerabilità. I miei bambini hanno quattro e sei anni e se non avessi avuto una riunione di lavoro, saremmo stati lì anche noi» – ammette Bellina.

Anche per questo, con la Sydney FC Foundation di cui è director, hanno deciso di confermare la giornata dedicata alle famiglie in programma durante in periodo natalizio. «Siamo convinti che l’unico modo per non lasciare spazio all’odio, sia la vicinanza, il senso di unione. Questi attacchi ci rendono fragili, ma dobbiamo rispondere con la cooperazione e con la solidarietà. E dobbiamo farlo – conclude – proprio per i nostri figli, affinché crescano anteponendo la gentilezza alla violenza». 

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