Liliana Segre compie 94 anni e resta un punto di riferimento istituzionale per l’Italia

«Gennaio stava finendo. Un giorno i nazisti chiamarono un lungo elenco di nomi: 605. C’erano anche il mio e quello di papà. Era il 30 gennaio 1944. Ci mettemmo in fila con gli altri in una lunga coda muta. Nessuno di noi sapeva dove ci avrebbero portato, non si poteva domandare, avresti preso solo botte. O fucilate»

Liliana Segre aveva 13 anni, fu portata alla Stazione Centrale di Milano, in un sottopassaggio in via Ferrante Aporti e da lì nei sotterranei della stazione. C’erano dei carri bestiame ad attenderli. Destinazione Auschwitz, come racconta nel libro “Fino a quando la mia stella brillerà”.

«Non sapevo ancora, in quel momento, che i nazisti avevano deciso di farmi vivere, almeno fino a quando sarei stata in grado di lavorare. Non sapevo, invece, che Violetta e la sua mamma, e così Mafalda e i suoi figli Alberto e Graziella, stavano andando verso le camere a gas. Fu solo una questione di fortuna, o destino, capitare tra le 31 donne che i nazisti avevano deciso di far vivere perché era il numero che serviva in quel momento dentro il campo. Se avessi aspettato a presentarmi alla registrazione sarei stata mandata nella fila di desta anche io».

Una fortuna o un destino che Liliana Segre ha voluto sempre onorare e che onora ancor oggi con il suo impegno sociale e istituzionale. Le sue testimonianze hanno percorso oltre 30 anni della sua vita portandola in centinaia di scuole e di eventi per raccontare ai ragazzi, testimoniare ciò che i libri di suola non possono restituire. Lei che è stata una degli 837 ebrei tornati dai campi di sterminio, dei 6.806 deportati dall’Italia (Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, 1972).

«Stück… ci chiamavano così, facendo seguire a questa parola in numeri tatuati sul braccio. In tedesco significa “pezzo”. Non eravamo più uomini. Ad Auschwitz diventammo … pezzi»

La deportazione

Nata a Milano il 10 settembre 1930, Liliana Segre è rimasta orfana della mamma Lucia quando aveva appena un anno ed è cresciuta con il papà Alberto e con i nonni paterni. Fu una delle vittime delle leggi razziali del 1938, quando venne espulsa dalla scuola perché di famiglia ebrea, nonostante il padre si fosse sempre dichiarato laico. Con l’intensificarsi delle persecuzioni nel 1943 il padre tentò la fuga con Liliana verso la Svizzera senza sucesso. Arrestata e detenuta con il papà a Milano per più di 40 giorni, fu poi deportata nel 1944 ad Auschwitz-Birkenau.

Dopo 7 giorni di viaggio in condizioni disumane, Liliana Segre all’arrivo nel campo di sterminio venne separata dal padre, ucciso solo poche settimane dopo. Con il numero 75190 stampato sulla pelle, la giovane italiana lavorò per un anno in una fabbrica di munizioni, che ancora esiste in Germania.

«Settecento donne e ragazze di giorno e altrettante nei turni di notte. Non si fermava mai la fabbrica. Eravamo schiave, lavoravamo fino all’esaurimento delle forze, poi diventavamo pezzi che non servono più»

Non si permetteva di appoggiarsi a nessuno e nessuno doveva appoggiarsi a lei: «Ero diventata egoista. Era l’unico modo per continuare a vivere» ricorda. La sua resistenza è stata soprattutto mentale, con il pensiero ha vinto l’orrore.

«Sognavo a occhi aperti. Mai a occhi chiusi. Non ho mai sognato di notte ad Auschwitz. Di giorno sì, immaginavo di correre su un prato che ricordavo, in mezzo ai fiori, nel sole; mi raccontavo i film che avevo visto, i libri che avevo letto, le mie canzoni preferite, le commedie ascoltate alla radio con nonno Pippo. In questo modo non permettevo al cervello di vedere quello che accadeva davanti a me, la realtà quotidiana della mia nuova vita all’inferno»

Da Auschwitz a Malchow all’inizio del 1944 in una marcia durata mesi , in cui morirono centinaia di prigionieri che i nazisti stavano spostando di notte per non farli trovare ai russi. La liberazione solo il primo maggio 1945 con l’arrivo nel campo delle prime jeep americane e poi il ritorno a casa il 31 agosto 1945.

L’impegno civile

La testimonianza di quanto vissuto non è stata immediata. Dopo decenni di silenzio e riflessione, Liliana Segre negli anni 90 ha iniziato un percorso di impegno civile e sociale visitando centinaia di scuole e partecipando a centinaia di eventi, convinta che l’indifferenza sia peggiore della violenza. È presidente del comitato per le Pietre d’inciampo – Milano, che raccoglie tutte le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell’antifascismo. Nel 2008 ha ricevuto la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall’università degli Studi di Trieste e nel 2010 quella in Scienze pedagogiche dall’università degli Studi di Verona. Nel 2018 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo sociale; Cavaliere della Legion d’Onore dal 2020.

Nel 2021 ha pubblicato, in collaborazione con Gherardo Colombo, il testo La sola colpa di essere nati e il libro Ho scelto la vita. La mia ultima testimonianza pubblica sulla Shoah, che raccoglie il suo ultimo discorso pubblico nella Cittadella della Pace di Rondine. Dal 2021 è presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza di Palazzo Madama, nel 2023 è stato edito a cura di Daniela Padoan sotto il titolo La stella polare della Costituzione. Il discorso al Senato il testo del discorso pronunciato da Segre il 13 ottobre 2022, prima seduta della nuova legislatura; è dello stesso anno il saggio autobiografico Uno strano destino, e del 2024 La memoria che educa al bene, scritto in collaborazione con l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini.

L’impegno politico

«Io ho visto il male assoluto, con tutte le lettere maiuscole. E un male così non si perdona e non si dimentica»

Il suo non dimenticare diventa eredità per tutti gli italiani e soprattutto per i giovani che sono sempre più lontani da chi ha vissuto quelle esperienze. Liliana Segre, senatrice a vita, ne ha fatto anche un impegno politico, che non vuol dire partitico. Nel suo voler essere presente a votazioni in Senato cruciali per il futuro del nostro Paese e nei suoi interventi vibra un’idea di nazione, una consapevolezza storica e una visione di futuro.

Come nel suo discorso di apertura dei lavori del Senato in questa legislaturra nell’ottobre del 2022 quando presiedette la seduta in sostituzione di Giorgio Napolitano:

«Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva.

In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica.

Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!»

Oppure quando di fronte a quanto emerse dall”inchiesta di Fanpage sull’antisemitismo e l’ostentazione di retaggi fascisti dentro Gioventù nazionale, commentò così:

E ancora quando, solo tre mesi fa, intervenne sulla riforma costituzionale, con l’elezione diretta del capo del governo. «Non dubito delle buone intenzioni della cara amica Elisabetta Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato. Poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere». Intervenendo in Aula durante la discussione generale sul premierato, proseguì: «Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti. Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare, a qualunque costo, una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale».

E oggi ai suoi 94 anni possiamo trovarla ancora a difendere le sue convinzioni e le idee di un Paese democratico, antifascista e antirazzista. Un esempio raro e prezioso per un Paese che troppo spesso dimostra di avere poca memoria.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com