Il numero di giovani disoccupati è al minimo da 15 anni. Scesa nel 2023 dopo lo shock della pandemia che aveva raggiunto il livello più alto nel 2020 (15,6%), la disoccupazione giovanile però, secondo le previsioni, tornerà (seppure poco) a crescere nei prossimi due anni.
Per quanto con differenze importanti tra le diverse regioni del mondo, un aspetto è stabile ovunque: le donne rimangono l’anello debole.
Secondo la recente analisi pubblicata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), al momento il mercato del lavoro per quanti hanno tra i 15 e i 24 anni si sta riprendendo, dopo la contrazione legata agli anni del Covid. Al punto che, secondo le proiezioni, il numero di giovani occupati crescerà di 2,9 milioni tra il 2023 e il 2025 – passando da 434,3 a 437,5 milioni. E la disoccupazione in questa fascia d’età nell’arco dei prossimi mesi, scenderà dal 13 al 12.8%.
Eppure, come chiarisce il rapporto da subito, i numeri degli occupati «non sono l’unico segnale (del persistere) di un vento contrario al successo dei giovani sul lavoro». Secondo i dati dello scorso anno, infatti, «una grande fetta (di adolescenti e giovani) – il 20,4% – non è occupato o impegnato in qualche tipo di formazione (neet, not in employment, education or training). Questo (dato) fornisce un quadro significativamente più ampio dell’esclusione dal mercato del lavoro tra i giovani, e segnala contemporaneamente alcune opportunità mancate nello sviluppo del capitale umano».
Il più recente “Global Employment Trends for Youth” (GET for Youth) dell’organizzazione dell’ONU, che festeggia quest’anno il suo 20esimo anniversario, traccia lo stato dell’(dis)occupazione tra quelli che hanno appena finito gli studi o stanno entrando per la prima volta nel mondo del lavoro con uno sguardo allargato sui numeri e tendenze. L’analisi mira a registrare la situazione attuale mondiale per far emergere le debolezze e le sfide future che interessano sia gli “oggetti” della ricerca (i ragazzi) che la crescita economica generale.
Nel mondo
Su scala globale, lo studio pubblicato in agosto dall’OIL, segnala il ritorno dei livelli di giovani che non lavorano almeno pari a quelli registrati prima della crisi sanitaria. Evidenzia inoltre come alcune aree hanno oggi percentuali addirittura più basse del 2019. Guardando più nel dettaglio, spiccano poi alcune regioni che continuano a conoscere invece una crescita di questi numeri.
Succede per esempio negli stati arabi, dove la disoccupazione giovanile stava già aumentando prima della pandemia. Nel 2023 questi territori, dove, tra l’altro, in otto su dodici Paesi si rilevano alti tassi di ragazzi senza un impiego, hanno conosciuto un incremento di un punto percentuale rispetto agli ultimi cinque anni.
Caso interessante, e solo in parte simile a questo appena descritto, è la situazione in cui si trovano alcune nazioni asiatiche. Nella regione si è infatti registrata un’inversione di tendenza rispetto al passato. Se infatti lo sviluppo economico e i livelli di crescita avevano conosciuto un incremento robusto fino a fine 2019, negli anni il tasso di disoccupati tra i giovani è aumentato, salendo di 4,3 punti percentuali nelle nazioni più a oriente e di un punto percentuale nel sud est del continente e tra gli stati del Pacifico. In tutti i casi, guardando alle prospettive per il futuro, non ci si aspetta qui di vedere a breve un ritorno ai livelli pre-pandemia.
I Paesi ad alto reddito
Seguono linee diverse, fino a un certo punto, i Paesi ad alto reddito. Nel 2023 il Nord America e la maggior parte delle aree europee hanno recuperato il picco negativo legato alla crisi sanitaria e registrato nel 2020 (15,6%). Tuttavia, qui tassi di disoccupazione giovanile aumenteranno nei prossimi due anni, per quanto lievemente (oltreoceano dall’8,2% all’8,4% e nel vecchio continente dal 14,4% al 14,6%). In generale, secondo le previsioni il più alto calo al mondo dovrebbe vedersi nell’Europa orientale, dove ci si aspetta che i livelli passino dal 13,3% del 2023 al 12,5 nel 2025.
Differenze geografiche a parte, due elementi restano comuni: la crescita del numero dei neet tra i ragazzi tra 15 e 24 anni, da un lato. E dall’altro, il volto femminile di chi non sta cercando lavoro né seguendo un percorso di formazione ma anche della disoccupazione più nello specifico. Le ragazze e le giovani donne hanno beneficiato meno dei miglioramenti delle percentuali dell’impiego registrate globalmente post-pandemia. Inoltre, continuano a soffrire degli effetti di uno svantaggio doppio legato proprio alla crisi sanitaria. Chiarisce il report OIL: «Prima, il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato in modo più marcato per le donne durante la crisi COVID-19. Poi, durante il periodo di ripresa, il calo della disoccupazione giovanile è stato inferiore tra le donne».
Sono loro quelle che costituiscono la fetta più grande tra quanti non hanno un lavoro o sono impegnati a seguire qualche percorso di formazione. Infatti oggi, due neet su tre sono donne. E il tasso in cui ricadono in questa definizione è due volte maggiore rispetto agli uomini. Le percentuali nel 2023 erano rispettivamente del 28,1% e del 13,1%. Se questo non bastasse, una tale condizione di svantaggio risulta più permanente per le donne e arriva all’estremo tra quelle colpite da deprivazioni multiple – dal livello di accesso all’istruzione superiore che hanno alle caratteristiche dei luoghi dove vivono; se si trovano in aree urbane o rurali e se provengono da Paesi ad alto o basso reddito.
Disoccupazione e istruzione
Nel descrivere lo scenario attuale, il rapporto GET indica come preoccupazioni crescenti le sfide poste da un grande numero di giovani che restano fuori dal mercato del lavoro e non proseguono gli studi. Stando al rapporto, infatti, il 33% di quelli che rientrano in questa fascia d’età, vive in una nazione che non ha (ancora) raggiunto i target posti per la riduzione dei neet. Situazioni particolarmente allarmanti restano i Paesi arabi e l’Africa settentrionale e sub-sahariana. In queste aree le prospettive per il futuro non sembrano puntare, nel breve periodo, al miglioramento.
L’immagine complessiva restituita dai numeri, favorevoli o meno che siano, sottolinea chiaramente la complessità della relazione tra i livelli di preparazione delle giovani generazioni e la disponibilità di lavori adatti ai loro profili. Temi, questi, spesso legati a una molteplicità di fattori sovrapposti, come gli sviluppi demografici, la geografia dei luoghi, le caratteristiche delle economie locali.
Nel mondo, oggi, i ragazzi hanno maggiori opportunità di studiare più a lungo. Nel 2023 il 48% di loro era iscritto a qualche tipo di formazione – percentuale di 10 punti superiore a quella registrata a inizio secolo. Tuttavia, per quanto esteso e diffuso sia, questo aumento non ha ancora interessato sufficientemente i Paesi più poveri. Inoltre, soprattutto nelle nazioni in via di sviluppo, l’adeguamento ai bisogni di posti di lavoro a più alto valore aggiunto non ha beneficiato della tendenza positiva e molti ragazzi preparati hanno impieghi di più basso livello rispetto alle loro capacità e competenze effettive.
Nemmeno i Paesi ricchi sono totalmente privi di pericoli e incertezze. Infatti, nelle nazioni “che invecchiano” come, su tutti, il Giappone, l’Italia e molti dei membri Unione europea, le generazioni più giovani stanno sì beneficiando della possibilità di ottenere un’educazione superiore e di una maggiore disponibilità di lavori qualificati nel breve termine. Eppure, come riporta il report OIL, «potrebbero essere esposti a rischi a lungo termine in quanto queste economie faticano a mantenere la crescita della produzione a causa dei rapidi cambiamenti demografici».
“Decent work, and brighter future”, lavoro decoroso e un futuro più roseo, titola il report GET 2023. Ma per quanto i diversi Stati e le organizzazioni sovranazionali abbiano fatto per affrontare le debolezze dell’occupazione attuale, le sfide continuano e rischi evolvono. Davanti a una situazione economica e di sviluppo incerti sotto molti aspetti, i giovani sentono la pressione addosso. I dati lo mostrano chiaramente, 2 su tre sono preoccupati di perdere il lavoro e, nonostante alcune segnali positivi a livello globale, sentono crescere l’ansia per il futuro – economico, certo, ma non solo.
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