Allarme PV, perché la droga del chemsex è così pericolosa?

Non dormire per tre o quattro giorni di seguito; smettere di mangiare, bere, con gravi problemi di disidratazione; tachicardia; aumento della pressione sanguigna; allucinazioni; deliri di persecuzione; scompensi psicotici; perdita del contatto con la realtà, e, di conseguenza, del proprio mondo, affettivo, sociale e lavorativo, in una spirale autodistruttiva difficile da interrompere. Questi sono alcuni degli effetti e conseguenze a cui va in contro la maggior parte delle persone dipendenti da MDPV (o MDPHP), comunemente chiamato PV: la droga che, soprattutto negli ultimi anni, viene prevalentemente usata da chi pratica il chemsex.

Quando si parla di chemsex, non si fa riferimento al generico consumo di stupefacenti durante l’atto sessuale. Il termine, coniato alla fine degli anni ’90 dallo scrittore e attivista David Stuart (scomparso nel 2022), indica nello specifico i cosiddetti chemsexparty: sessioni, della durata anche di giorni, durante le quali uomini fanno sesso (prevalentemente) con altri uomini, assumendo sostanze specifiche come mefedrone, Ghb/Gb, metanfetamina e basata (il crack). Sempre di più, sostituite dal PV.

Questo diffusissimo fenomeno, sta avendo nelle metropoli italiane una preoccupante evoluzione. Un aiuto concreto a chi si trova in questa situazione arriva da ASA (Associazione Solidarietà AIDS), che proprio a Milano, gestisce un gruppo psicoterapeutico a sostegno delle persone con dipendenza da chemsex. La dottoressa Giorgia Fracca, psicoanalista che da oltre 10 anni si occupa di queste dipendenze, coordina una volta alla settimana le sedute.

Dottoressa Fracca, come si diventa dipendenti da chemsex?

La maggior parte delle persone che ho incontrato ha cominciato per gioco, per la curiosità di provare qualcosa di nuovo, con la fiducia e l’ingenuità che si creano nell’intimità di un incontro sessuale. Moltissime persone si entusiasmano e cominciano a farne un uso sempre più frequente, fino a non poter più pensare di avere un rapporto sessuale da sobri. È a questo punto che smettere diventa davvero difficile.

Come si arriva a questo livello?

Il problema è che chi fa uso di chemsex non riesce a vedersi come tossicodipendente, perché nell’immaginario comune il “tossico” è un emarginato, un dropout, mentre i ragazzi e gli uomini che cadono in questa dipendenza sono spessissimo persone di successo, socialmente integrate, brillanti. Abituate a contare sulle proprie forze, vivono la dipendenza, quando finalmente la riconoscono, come un fallimento assolutamente incompatibile con l’immagine che hanno di sé, e faticano a chiedere aiuto.

È una dipendenza specifica della comunità lgbt?

Anche tra le persone eterosessuali l’incidenza della dipendenza da droghe in concomitanza col sesso è cresciuta in maniera preoccupante, basti pensare al caso Genovese (Alberto Genovese, nda). Finora gli eterosessuali hanno fatto uso principalmente di sostanze più tradizionali, alcool e cocaina, ma le nuove sostanze psicoattive (nsp) si stanno diffondendo ovunque, anche per questa modalità di vivere il sesso in maniera triste, che evita l’incontro autentico con l’altro. È qualcosa su cui, come società, dovremmo interrogarci.

Che tipo di effetti dà l’uso di PV?

Il PV ha una grande diffusione perché aumenta il desiderio sessuale e la propriocezione, cioè potenzia le sensazioni che si sentono durante l’atto. Inoltre disinibisce e genera un falso senso di empatia. Gli effetti indesiderati includono ansia, paranoia, allucinazioni, aggressività, attacchi di panico, comportamenti autolesivi che possono portare in extremis al suicidio.

A quali rischi va in contro chi usa questa sostanza?

Bisogna tenere presente che chi ne fa uso, spesso lo protrae per più giorni, rinunciando al sonno per diverse notti. Uno stress terribile per il sistema nervoso. Non smettono perché, come mi ha detto un ragazzo, «si ha la sensazione di essere sempre a un passo dall’ “estasi”». Estasi, o orgasmo, che non arriva mai. 
Segue un “down” che può durare fino a 7 giorni dopo l’uso, con ansia, depressione, dispercezioni, vissuti persecutori, paranoia, confusione, aggressività.

Perché la dipendenza da PV è così pericolosa?

Assistiamo a moltissimi scompensi psicotici temporanei, cioè che persistono durante l’uso e pochi giorni dopo, e alcuni scompensi senza ritorno. Per non parlare dei danni al fegato e ai reni. Mi è capitato di essere chiamata da medici del pronto soccorso davanti a collassi multiorgani, conseguenza dello stress prolungato per giorni sul corpo.

Secondo la sua esperienza quanto crea dipendenza rispetto ad altre droghe?

Nelle ricerche in laboratorio, è risultato molto più “addictive” di eroina e metanfetamina. Ho incontrato tre o quattro persone che lo hanno provato un paio di volte e poi si sono spaventate e hanno smesso, ma anche moltissime persone che si sentivano dipendenti già dopo la prima volta. È una roulette russa, io non rischierei.

Come può aiutare un gruppo psicoterapeutico come quello che lei coordina?

Quest’anno abbiamo dimesso due ragazzi e metà di quelli che frequentano sono a un ottimo punto. Chi viene sempre, anche dopo eventuali ricadute, riesce a smettere. Questo vale per il gruppo che coordino io e per tutti quelli che spero nasceranno a Milano o in altre città.

Quali sono le storie dei ragazzi che diventano dipendenti da PV?

Ogni storia è a sé, non si può generalizzare, quello che mette tristezza però, è che sono spesso storie di successo e di rivincita sociale, storie di ragazzi che hanno lasciato la propria città d’origine per costruirsi una vita in cui poter vivere la propria omosessualità, e che poi inciampano proprio su una droga che si usa in ambito sessuale. Spesso sono persone che facevano un uso ricreativo di altre sostanze e dopo un problema grave, come la fine di una relazione importante, hanno cercato sensazioni più forti per superare il dolore. Agli eccessi con le sostanze segue minor rendimento sul lavoro, ulteriori frustrazioni, isolamento dagli amici, altro dolore che cerca sollievo nella sostanza, in un circolo vizioso che li porta velocemente a toccare il fondo. Sarebbe importante riuscire a fermarsi prima.

Spesso chi ha una dipendenza lo nega anche a sé stesso. Quali sono i segnali da non ignorare?

Quando cala l’interesse per un rapporto sessuale senza l’uso di sostanze, si è già in zona di pericolo. Se si rinuncia a una serata con amici o famigliari per qualche ora droga e sesso, spesso scadente. Quando amici e parenti fanno notare irritabilità e comportamenti incoerenti, è il caso di dar loro ascolto. Quando si dice “smetto quando voglio”, ma poi non si vuole mai…

Come possiamo accorgerci che qualcuno a cui vogliamo bene ha questo problema?

Irritabilità e cambiamenti di umore possono essere i primi segnali. Se un amico sparisce senza dare notizia di sé per pomeriggi interi senza dare spiegazioni, e ricompare con il volto segnato dalla stanchezza e dal digiuno, è un segno inequivocabile.

Se si hanno dei sospetti bisogna offrire sostegno, comprensione, e convincere l’amico a cercare aiuto presso uno psicologo competente o un’associazione. Se poi decide di smettere, è importante non lasciarlo solo nei giorni e nelle notti in cui potrebbe cadere in tentazione. Stare vicino non solo a parole, ma con i fatti

Lei esercita a Milano. Dal suo punto di osservazione, qual è la situazione in città?

Milano per adesso è la città in cui il PV è più diffuso, soprattutto più facile da reperire rispetto ad altre sostanze. È difficile entrare in certe app di incontri senza trovare qualcuno che proponga anche droga. Molti ragazzi che cadono in questa dipendenza, tornano al paese d’origine per allontanarsi dalle tentazioni. Ma è una soluzione temporanea, perché una volta rientrati a Milano per lavorare, le tentazioni sono ancora lì. Bisogna farsi aiutare e costruire una rete di contatti “sani”. Anche a Milano è possibile.

Come e a chi chiedere aiuto?

Alle associazioni Lgbt e a psicologi che abbiano una competenza su questa specifica dipendenza, ma anche ai Serd che pur con qualche anno di ritardo, cominciano a proporre percorsi di recupero adatti a questo problema. La mia associazione, Asa Odv, ha offerto un servizio di formazione alle istituzioni e siamo stati già contattati da una decina di servizi.

È possibile che qualcuno con questo problema la stia leggendo adesso. Cosa vorrebbe dirgli?

Che non è colpa sua, sono moltissimi gli uomini in gamba che sono inciampati proprio come lui. Non c’è nulla di cui si deve vergognare, deve solo credere che un futuro più bello è possibile, e chiedere aiuto.

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  • Elena |

    e se uno non vuole smettere come si può aiutarlo?

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