L’argomento è di quelli che si presta a ogni genere di commento, battuta, previsione di abusi e di crollo delle assunzioni di giovani donne eccetera eccetera. La proposta di legge 3781 “Istituzione del congedo per le donne che soffrono di dismenorrea” – firmatarie Mura, Sbrollini, Iacono e Rubinato – è stata presentata lo scorso 27 aprile: al momento il Pdl risulta soltanto depositato e non è ancora prevista una sua calendarizzazione, anche se è probabile che il clamore suscitato in questi giorni possa portare, alla ripresa dei lavori parlamentari, a un suo rapido incardinamento nella commissione competente.
Prima di commentarla, vale la pena leggere i cinque commi dell’unico articolo di cui è fatta.
In Italia i dati sulla dismenorrea – si legge nella premessa – sono allarmanti: dal 60 al 90 per cento delle donne soffrono durante il ciclo mestruale e questo causa tassi dal 13 per cento al 51 per cento di assenteismo a scuola e dal 5 per cento al 15 per cento di assenteismo nel lavoro. Per questa ragione alcune associazioni per i diritti delle donne nel mondo del lavoro in Italia, dopo l’apertura di un dibattito in questa direzione negli Stati Uniti d’America, stanno lavorando da tempo a una bozza di proposta di legge per istituire
un « congedo mestruale » che permetta alle donne di rimanere a casa nei giorni di picco del ciclo.
In Italia il dibattito sul cosiddetto congedo mestruale si è riacceso dopo che la Coexist, un’azienda di Bristol, ha deciso di inserire nello statuto l’esenzione dal lavoro per le impiegate con il ciclo mestruale. L’azienda ha deciso di concedere alle dipendenti un congedo a cadenza mensile che garantisca loro di restare a casa nei giorni in cui i dolori mestruali sono più forti. Alla Coexist hanno persino valutato che appena finito il ciclo le donne sono tre volte più produttive.
L’idea della Coexist ha alcuni precedenti: la Nike ha inserito il congedo mestruale nel proprio codice di condotta sin dal 2007 e in Giappone alcune aziende avevano adottato il «seirikyuuka », cioè il congedo, addirittura nel 1947 e un anno dopo la stessa pratica era stata introdotta in Indonesia. Più recentemente, il congedo per le donne che soffrono di dismenorrea è stato adottato anche in Sud Corea (nel 2001) e a Taiwan (nel 2013). In Oriente esiste infatti la credenza che se le donne non si riposano nei giorni del ciclo avranno poi numerose difficoltà durante il parto: il permesso, dunque, è vissuto come una forma di protezione.
PROPOSTA DI LEGGE
ARTICOLO 1.
1. La donna lavoratrice che soffre di dismenorrea, in forma tale da impedire l’assolvimento delle ordinarie mansioni lavorative giornaliere, ha diritto di astenersi dal lavoro per un massimo di tre giorni al mese.
2. Durante l’astensione dal lavoro ai sensi del comma 1, di seguito denominato « congedo mestruale », alla lavoratrice sono dovute una contribuzione piena e un’indennità pari al cento per 100 per cento della retribuzione giornaliera.
3. La donna lavoratrice che intenda usufruire del congedo mestruale presenta al datore di lavoro la certificazione medica specialistica relativa alle condizioni previste dal comma 1.
4. La certificazione medica di cui al comma 3 deve essere rinnovata entro il 31 dicembre di ogni anno e presentata al datore di lavoro entro il successivo 30 gennaio.
5. Il congedo mestruale non può essere equiparato alle altre cause di impossibilità
della prestazione lavorativa e la relativa indennità che spetta alla donna lavoratrice
non può essere computata economicamente, né a fini retributivi né contributivi, all’indennità per malattia.
6. Il congedo mestruale si applica alle lavoratrici con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, a tempo pieno o parziale, a tempo indeterminato o determinato ovvero a progetto.
“Ho aderito alla proposta scritta dalla collega Mura – spiega Simonetta Rubinato – perché tocca un tema importante che riguarda certo i diritti delle donne ma che, come testimoniano i casi di molte aziende europee e mondiali che hanno già riconosciuto il congedo dal lavoro per dismenorrea, è anche interesse delle nostre imprese affrontare. È infatti dimostrato che le donne che soffrono di forti dolori durante il ciclo mestruale siano in quei giorni molto meno produttive. Riconoscere il diritto di assentarsi dal lavoro in quel periodo significa ritrovarle molto più produttive al loro rientro. Credo che la proposta di legge sia stata utile a porre il tema e per questo sta suscitando grande interesse anche nel nostro Paese”.
In vista di una sua possibile calendarizzazione in aula, “siamo disponibili a discutere le forme e condizioni della misura sostenibili anche per il minor impatto sulla finanza pubblica. Ad esempio si potrebbe partire su base volontaria con un gruppo di aziende che siano disponibili a una fase sperimentale anche prevedendo che le ore di assenza dal lavoro, che possono essere al massimo di tre giorni e comunque su certificazione medica specifica per evitare abusi e furberie, possano essere recuperate successivamente quando la donna lavoratrice ritorna in piena forma ed è molto più produttiva”.