I colori sono parte essenziale della nostra esistenza, ci circondano, ne preferiamo uno invece di un altro. Ma per quale motivo? Qual è la loro storia? Lo abbiamo chiesto a Michel Pastoureau, classe 1947, massimo esperto mondiale di storia dei colori e dei loro significati simbolici e direttore dell’École pratique des hautes études di Parigi, incontrato al MUBA di Milano durante il ciclo di conferenze “Di tutti i colori” (ultimo appuntamento mercoledì 9 maggio): “Mi interesso al colore sin dalla tenera età, avevo 3 prozii pittori e mio padre aveva diversi amici che svolgevano la stessa professione. Usavo giocare nei loro atelier, fra tele e tubetti di colore”, racconta lo storico francese. Una passione alla quale ha dato seguito anche durante gli studi: “Quando ho iniziato a studiare storia all’università mi sono focalizzato sulla storia del colore perché avevo intuito che si trattava di un argomento all’epoca ancora non molto studiato, neanche dagli storici dell’arte”. Un interesse, quello per il colore, legato alle più svariate discipline: “Studiare la storia del colore è un modo per entrare in contatto con specialisti di altri settori, come storici dell’arte, storici di altre materie, ma anche professionisti della moda, chimici, fisici, musicisti”.
Perché è importante studiare la storia del colore? “Il principale compito del colore è di classificare, associare, di creare codici e sistemi di segni proprio nello stesso modo in cui in ufficio si classificano i documenti in faldoni rossi, blu, verdi o gialli. L’abbigliamento per esempio ha un codice a colori che classifica i gruppi, gli individui, le società intera. Il mio lavoro si occupa quindi del rapporto fra i colori e la società, perché non è possibile comprendere i colori del tempo presente se non in relazione a quelli delle epoche passate”, precisa Pastoureau. Quanti sono i colori che sono stati classificati? “I colori sono sei, ed è molto difficile farlo comprendere al pubblico. Si tratta del bianco, del rosso e del nero – un’organizzazione risalente alla protostoria – ai quale in epoca medievale si aggiungono blu, verde e giallo. Il rosso mattone, il verde oliva, il blu cielo, sono delle nuance, delle sfumature, non sono colori” commenta lo specialista, che “ogni volta che mi domandano quali saranno i nuovi colori, rispondo che non saranno colori ma sfumature, sfumature di sfumature”. Una rivelazione.
Michel Pastoureau ha passato la vita a studiare la storia dei colori e dedicando a quasi ognuno di loro (il blu, il rosso, il verde e il nero; il giallo è in preparazione) interessanti monografie che svelano l’evoluzione del colore dal Medioevo ai giorni nostri, con tanto di supporto iconografico. Oltre alle monografie, anche il “Piccolo libro dei colori” – quasi un bigino sul tema – e il “Dizionario dei colori del nostro tempo” (Ponte alle Grazie) dove sviscera un centinaio di voci legate al mondo dei colori, ai loro usi e ai loro codici sociali. Scopriamo così che il salmone ad oggi è l’unico nome di animale utilizzato come vocabolo cromatico, che gli abiti da sposa non sono stati sempre bianchi o che l’arancione è uno dei colori meno amati nella società occidentale. Oppure che nessuno si vestiva di blu nell’antica Roma, che i primi oggetti di design avevano tinte pastello, che la Maglia Gialla ha contribuito a rivalutarne il colore e che la notte può avere molteplici sfumature.
Una domanda però nasce spontanea: perché l’azzurro è associato ai bambini e il rosa alle bambine? “Moltissimi anni fa in Europa il rosso era un colore maschile, associato alla guerra e ai guerrieri, un colore virile. Il blu invece era femminile, perché a partire dal Medioevo era associato al mantello della Vergine” spiega Pastoureau. Poi le cose hanno iniziato a cambiare, si sono praticamente ribaltate: “Solo a partire dal XVIII secolo il rosso è diventato più femminile che maschile e il blu è diventato più maschile che femminile. Probabilmente per delle ragioni morali gli uomini dell’alta società hanno cessato di vestirsi di rosso per lasciare posto al blu, considerato il colore del XVIII secolo. Si ama maggiormente il blu e si comincia a indossare meno il rosso. I soldati non si vestono più di rosso e le donne cominciano ad indossare quel colore. Lentamente si assiste a questo cambiamento, il blu diventa per gli uomini e il rosso per le donne. È possibile inoltre che la Riforma Protestante abbia giocato un ruolo importante in questo ambito, con queste declinazioni: rosso per le donne, rosa per le bambine, blu per gli uomini, azzurro per i bambini. Bisogna attendere la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo per vedere neonate vestite di rosa e neonati vestiti di azzurro”. Ecco dunque la spiegazione a una delle questioni gender più basilari, che porta a interrogarci perfino sul nostro colore preferito (che secondo Pastoureau per il 55% degli Italiani è blu). La risposta è nella storia dei colori, buono studio.