
La lavorazione dell’argan per le donne marocchine sta diventando un simbolo di emancipazione. Può infatti essere «un’opportunità di autonomia, per crearsi un reddito e un’indipendenza dalla propria famiglia», ma anche un modo di far crescere la propria comunità e «sostenere l’economia locale» nelle zone più rurali del Paese. È questa l’idea con cui nel 1996 nei dintorni di Agadir, nel sud del Paese, sono nate le cooperative Targanine, come racconta ad Alley Oop Latifa Anaouch. Entrata nel consorzio nel 2007, «a 17/18 anni», ha iniziato a lavorare con l’idea di rimanerci per un paio d’anni per sfruttare il legame di lunga data della sua famiglia l’argan. («I miei nonni avevano un terreno con un arganeto e abbiamo sempre lavorato le noci e mangiato la pasta», spiega). La relazioni che si sono create tra le donne della cooperativa però si sono rivelate «fortissime» e l’hanno spinta a rimanere.
Oggi Anaouch è una delle 230 donne – divise in 6 cooperative di villaggio – che fa parte di Targanine. «Il nostro lavoro ha creato un indotto di economia solidale che sostiene oltre 500 famiglie» e migliora la realtà in tanti villaggi rurali. Oltre alle lavoratrici che gestiscono la cooperativa, producono l’olio e lo vendono, ci sono uomini che si occupano dei carichi e li trasportano in tutto il Paese o li inviano all’estero. Questo è particolarmente importante «in un momento difficile per il Marocco dal punto di vista economico, con un’inflazione pazzesca» e con molti cittadini, soprattutto tra i giovani, che «non riescono a permettersi gli studi, la salute e un impiego», spiega Latifa. Con le recenti proteste, «sembra che le cose stiano cambiando – prosegue – Il governo sta dando ascolto» a chi chiede una crescita che non sacrifichi «il nostro patrimonio culturale e il nostro modo di essere». Insomma, della tradizione in cui rientra a pieno titolo anche la lavorazione dell’argan.
Un inizio difficile
La cooperativa Targanine è nata con il sostegno dell’Università Mohamed V di Rabat, che «ha studiato le proprietà cosmetiche di altissimo livello dell’argan» e la possibile richiesta sul mercato internazionale. Il contesto era quello dell’Arganeraie Biosphere Reserve (la riserva della biosfera dell’arganeto), una foresta di 20 milioni di alberi e con un’estensione di circa 800 mila ettari nel sud ovest del Paese. Riconosciuta come patrimonio Unesco, quest’area – protetta dalla desertificazione proprio grazie alle proprietà idratanti dell’Argan – è fondamentale per la sopravvivenza delle donne berbere, che ne conoscono tutti i segreti erboristici e utilizzano ogni parte della pianta.
Tuttavia, «all’inizio sia le donne che gli uomini hanno accettato a fatica le attività della cooperativa», racconta Ananouch . In un ambiente sociale perlopiù tradizionalista «non era pensabile che le donne lasciassero il focolare e molti genitori si chiedevano: “perché proprio mia figlia deve lasciare casa” per svolgere delle mansioni fuori». Gradualmente però le donne nei villaggi – inizialmente 15 – si sono convinte che Targanine avrebbe offerto loro «un’opportunità di autonomia ed emancipazione». Le prime, spiega Latifa, «hanno detto: “perché no? Proviamo!” E presto si sono accorte che era bello avere un proprio patrimonio». Ne hanno beneficiato a livello di autostima, ma anche sul piano concreto. «Tante dicevano, per esempio, che sarebbe stato bello andare all’ hammam (ndr, bagno marocchino) più spesso», oppure comprare stoffe, o carne di pollo e di montone al Suk. Con l’impiego nella cooperativa, finalmente hanno potuto farlo.
Un punto di riferimento
Targanine pian piano ha cambiato «la mentalità nei villaggi», afferma Ananouch . Le abitanti hanno così iniziato a pensare «per le bambine e i bambini» dell’interno del Marocco una vita diversa da quella che avevano vissuto loro stesse e le loro madri. La cooperativa è diventata anche «un riferimento culturale» e un importante sostegno economico in un contesto rurale dove «l’agricoltura è penalizzata dalla siccità e dalla desertificazione», mentre«la pesca sta cambiando per l’eccessivo sfruttamento dei mari» . Nel 2003 è stato poi fondato ad Agadir il Gie (Groupement d’interet economique) Targanine con lo scopo di aiutare le cooperative nella commercializzazione, promozione e valorizzazione del prodotto a livello nazionale ed internazionale. «Il meccanismo del commercio equo prevede che sia pagato un premo equo che permette di finanziare diverse attività», spiega Ananouch.
Tra queste, c’è il «sostegno alla salute delle lavoratrici e della loro famiglia, con medicine, visite, ricoveri e interventi di emergenza», ma anche l’organizzazione di trasporti verso le scuole. Ciò permette ai figli delle impiegate di Targanine di affrontare più facilmente le lunghe distanze che altrimenti impedirebbero loro di studiare. Per i più piccoli è previsto anche un servizio di asilo nido. Durante l’inverno, i premi equi della cooperativa consentono di «comprare coperte da distribuire nella comunità» e kit alimentari. In più nel corso del tempo, hanno anche contribuito a coprire anche i costi dei «corsi di alfabetizzazione», realizzati in collaborazione con alcune Ong, per migliorare i livelli d’istruzione delle lavoratrici. L’analfabetismo nell’area è infatti ancora molto diffuso e molte donne conoscono solo la lingua berbera. Grazie al loro impiego invece tante hanno imparato l’arabo e talvolta anche il francese, compiendo un passo ulteriore verso la strada della loro indipendenza.
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