Pil, chiudere il divario di genere equivale a una crescita globale di 1,5 mila miliardi di dollari entro il 2030

Nessuno dei target di parità di genere fissati dai leader mondiali delle Nazioni unite nel 2015, è sulla strada per essere raggiunto entro il traguardo del 2030.

È ancora valida la riflessione che apriva un articolo scritto quasi un anno fa per illustrare la situazione di disuguaglianza tra donne e uomini nel mondo: i ritardi si stanno accumulando. Oggi, dodici mesi dopo, le cose ancora non si possono tratteggiare in toni più positivi. Continuando di questo passo e senza interventi urgenti, l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030[1] , cioè raggiungere l’equilibrio di opportunità tra i sessi, verrà mancato di un ampio margine.

A lanciare l’ennesimo allarme è il “Gender snapshot”[2] del UN Women, l’ente dell’Onu per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, pubblicato a metà settembre. Davanti al quadro grigio restituito dall’analisi di oltre 100 fonti, la piccola scintilla positiva arriva dagli effetti che avrebbero interventi contro le disparità. Si legge in apertura del documento, per esempio, che «Se scegliessimo di investire anche solo in un’unica azione concreta per chiudere il divario digitale di genere, 343,5 milioni di donne e ragazze ne trarrebbero beneficio. (E si potrebbero sollevare) 30 milioni di loro dalla povertà».

Stando alle proiezioni, chiudendo questo gap, da qui a cinque anni il Pil globale crescerebbe di 1,5 mila miliardi di dollari entro il 2030.

Numero di donne e ragazze che beneficerebbero se si colmasse il divario digitale di genere – per regione, nel 2050, (da: The Gender Snapshot 2025, Un Women)

Raggiungere una maggiore parità di genere, inoltre, continua l’Un Women, «è fondamentale per la pace, lo sviluppo e i diritti umani». Tra le altre cose, infatti le analisi indicano che i processi di pace,  a cui partecipa una percentuale significativa di donne, hanno il 20% di probabilità in più di resistere nel tempo.

Leggendo il documento delle Nazioni Unite, però, appare chiaro come, gli aspetti positivi in tema gender equality rimangano più limitati alle prospettive di intervento che ai progressi effettivamente avvenuti. O in corso. Nonostante i passi avanti fatti, infatti, le cose non sembrano essere progredite troppo o volecemente. In alcuni casi addirittura si registrano regressioni. Secondo l’indagine delle Nazioni unite, poi, al passo attuale di cambiamento, saranno 350 milioni le ragazze e donne che nei prossimi cinque anni continueranno a vivere in condizioni di povertà estrema.

Cinque anni al 2030

La fotografia 2025 dell’Un Women mette in chiaro le opzioni che si aprono da qui in avanti, intervenendo o meno. Possiamo, nel primo caso, procedere verso l’avanzamento delle economie, la costruzione di società più sicure ed eque per tutti. O, altrimenti, assistere all’accrescersi di disparità e povertà e a ulteriori erosioni dei diritti umani.

Intanto la parità al momento resta lontana. A testimoniarlo, i numeri raccolti dalle Nazioni unite. Oggi nel mondo, vive in povertà estrema il 10% delle donne. Percentuale questa rimasta quasi invariata dal 2020. Ammontano poi a circa 708 milioni quelle che restano escluse dal mercato del lavoro a causa degli impegni – non retribuiti – di cura domestica e familiare. E, tra le lavoratici, inoltre, una alta percentuale è impiegata in occupazioni mal pagate. Alle condizioni personali delle singole, si aggiungono fattori esterni che limitano ulteriormente l’emancipazione e l’indipendenza economica. Em di fatto, allontanano la parità. Moltissime donne continuano a non poter possedere terreni, restano tagliate fuori dai servizi finanziari e dal poter svolgere lavori dignitosi.

Se non bastasse, ulteriori contraccolpi al progresso sono rappresentati dal persistere di guerre e dal ripetersi sempre più frequente di disastri naturali. Davanti a scenari simili, non sorprende troppo che la differenza di genere si ritrovi anche proprio tra chi sta peggio. Nel mondo infatti sono più le donne degli uomini a trovarsi in stati di insicurezza alimentare. Per quanto non sia l’unica causa, certo poi un’alimentazione insufficiente contribuisce a peggiori stati di salute. E, in una spirale che si autoalimenta,  un benessere precario limita ulteriormente le possibilità di studiare o avere un’occupazione. Cioè, in definitiva, precludere molte dalla possibilità di uscire dall’indigenza. Oltre che da situazioni di sottomissione e violenza.

Ricorda ancora il report Un Women come ancora oggi una donna su tre è stata vittima di brutalità fisiche o attacchi psicologici durante la sua vita. E, nuovo ulteriore record, sono 676 milioni quelle che vivono in un raggio di 50 chilometri da una zona di conflitto. Erano 256 milioni nel 1990. 614 milioni nel 2020.

La salute, il lavoro, la leadership

Il gap di genere non si limita alle situazioni di povertà estrema. E la lentezza del progresso non è limitata a un ambito o a uno degli obiettivi di Agenda 2030. Un caso interessante è rappresentato dal tema della salute riproduttiva femminile. Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile infatti, questo è l’ambito che ha conosciuto gli avanzamenti più significativi nel tempo. Tra il 2000 e il 2023, per esempio, la mortalità materna si è ridotta del 40%, passando da 328 a 197 morti per 100mila nascite.

Di contro, però, ovunque nel mondo restano molto preoccupanti i livelli di violenza di genere. Oggi sono ancora quattro milioni le minorenni che subiscono mutilazioni genitali. Di queste, due milioni hanno meno di 6 anni. E, negli ultimi dodici mesi, una donna su otto è stata vittima di aggressione fisica o sessuale da un partner.

Spostando lo sguardo dalle situazioni di violenza e privazione, la disparità non sparisce nemmeno tra le lavoratrici. Anche in questo caso la situazione continua a mostrarsi incerta. Non solo oggi, anche se hanno un occupazione, le donne passano ancora due volte e mezza il tempo che invece passano i loro compagni o mariti dedicandosi alle  faccende di casa. Ma anche continuano a registrare un importante disparità retributiva appena entrano nel mercato del lavoro. Anche a parità di titolo e ambito di studio.

Alle criticità conosciute che caratterizzano l’occupazione femminile moderna, negli ultimi tempi si è aggiunto l’ulteriore elemento dirompente della tecnologia. Tra le altre innovazioni infatti, lo sviluppo dell’ai, per quanto rappresenti un’evoluzione potenzialmente “equalizzatrice” in questo senso, può molto facilmente diventare un rischio specificamente per le occupate. Senza approfondire i diversi pericoli e gli scenari (meglio tratteggiati qui), anche solo a livello numerico si percepisce già una differenza. Secondo le previsioni il 28% dei lavori svolte da donne è considerato vulnerabile all’avvento dell’intelligenza artificiale. Questa percentuale si attesta al 21% per gli uomini.

Non va meglio nemmeno se dall’occupazione in generale, si passa a osservare la leadership femminile. Ai vertici delle aziende, per quanto i numeri siano cresciuti – in alcune regioni decisamente più che in altre -, le manager oggi sono mediamente solo il 30%. Ma, specifica il Gender Gap Report del World economic forum: se «tra il 2015 e il 2024 la quota di donne in posizioni di top management è cresciuta dal 25,7% al 28,1%, il progresso è rallentato dopo i 2022».

Uno stallo a ben guardare, controproducente. Ribadisce, questa volta il Gender snapshot, come una maggiore partecipazione femminile ai processi decisionali «porta a vantaggi evidenti. Le aziende che hanno più donne in posizioni dirigenziali ottengono costantemente risultati migliori rispetto alle loro concorrenti, dimostrano che quando le lavoratici hanno pari accesso alle opportunità, la crescita e l’innovazione prosperano».

Le leader scarseggiano anche in ambito politico. Nel mondo, infatti, seppur con grandi differenze tra stati, le elette ai parlamenti nazionali arrivano appena sopra il 27%. In crescita dal 2015, ma di solo il 4,9%. Al passo attuale, calcola il WEF, la parità in questa dimensione si raggiungerà solo tra 162 anni. Tra l’altro, al primo gennaio 2025, restano 102 i Paesi che non hanno mai avuto una donna capo di Governo o di Stato. Inoltre, a livello globale, la presenza femminile nelle amministrazioni locali dal 2023 è ferma al 35,5%.

“The Sustainable Development Goals Report 2025”, UN Rapporto donne/uomini nei parlamenti per gruppo d’età

Il costo della mancata parità

Usando le parole delle Nazioni unite, «tenere le donne in povertà, emarginate dalla leadership ed esposte alla violenza, è un sabotaggio economico». Non si sfrutta il loro potenziale in anni critici in tema di sostenibilità dei modelli economici correnti – pensiamo alle sfide legate all’inverno demografico. Al contrario, «investire nelle donne potrebbe sollevare centinaia di milioni di persone dalla povertà estrema e aggiungere 4 trilioni di dollari all’economia globale entro il 2030».

I soldi, per quanto centrali, però non sono tutto. Infatti, per risultati solidi e duraturi è indispensabile lavorare sull’esclusione – dal lavoro, dalle cure mediche, dai processi decisionali. Scrive l’Un Women: «i sistemi non collassano in un momento, vengono svuotati pezzo per pezzo. I passi in avanti (da fare) non sono un mistero» e interessano «l’inclusione digitale, la libertà dalla povertà, la protezione contro la violenza, l’uguaglianza nelle processi di decisione, pace e sicurezza e giustizia climatica».

Perché il divario si presenta sotto forma di minori opportunità di lavoro, certo. Ma anche di mancanza di protezione legale, di sotto-rappresentazione, di accesso limitato o assente alla prevenzione o al trattamento medico. E di disparità di guadagno, anche tra chi ha livelli di istruzione identici.


[1] Il Goal 5, “parità di genere” si propone di eliminare ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne e le ragazze. Tra queste, anche le pratiche dei matrimoni precoci e le mutilazioni genitali. Inoltre punta a garantire gli stessi diritti di accesso alle risorse economiche, naturali, tecnologiche per i generi. E arrivare alla piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro e alle pari opportunità di leadership, in ambito politico ed economico.

[2] Il titolo completo del testo delle Nazioni unite: “Progress on the sustainable development goals. The Snapshot 2025”.

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