Women in Surgery Italia, costruire alleanze contro la violenza e la discriminazione in chirurgia

Pressione, ritmi serrati, responsabilità altissime. In molti contesti sanitari italiani, e in particolare nel mondo della chirurgia, la tensione quotidiana si somma a dinamiche gerarchiche che spesso sconfinano nell’abuso e nella svalutazione. E’ cronaca recente quanto avvenuto a inizio giugno al policlinico universitario Tor Vergata, a carico della chirurga Marzia Franceschilli, che sarebbe stata aggredita verbalmente e secondo alcuni testimoni anche con un pugno – indagini sono in corso a vari livelli – nel corso di un delicato intervento di chirurgia robotica. L’audio di quanto accaduto in sala operatoria è circolato online e l’eco mediatica ha acceso nuovamente il dibattito sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza delle donne in ambito chirurgico, tema su cui è intervenuta Women in Surgery Italia, associazione impegnata nella tutela delle professioniste del settore.

Il recente caso di cronaca è la punta di un iceberg

«La notizia ci ha colpite molto», ammette Daniela Rega, chirurga e presidentessa di Women in Surgery Italia. «Non possiamo ignorare il contesto. Situazioni di abuso verbale, svalutazione e intimidazione non sono casi isolati: fanno parte di un problema più ampio, che riguarda la cultura gerarchica e spesso tossica che ancora oggi si respira in molte sale operatorie». Una cultura che, oltre a danneggiare chi ne è vittima, compromette la qualità del lavoro collettivo e, di conseguenza, anche quella delle cure. «Il malessere, la paura di sbagliare, la tensione costante, compromettono il lavoro di squadra, la lucidità, la qualità dei trattamenti rivolti ai pazienti. Ecco perché tutelare le persone, tutte, è anche un modo per tutelare la medicina stessa».

È un problema strutturale, non episodico. Un fenomeno che persiste anche in ambienti altamente specializzati, dove ci si aspetterebbe che la competenza e la deontologia professionale prevalgano su tutto. Ma, spiega Daniela Rega, «la specializzazione tecnica non basta a fare di un posto di lavoro un ambiente civile. Purtroppo, ci portiamo ancora dietro una cultura che confonde l’autorità con l’autoritarismo, e la pressione con l’aggressività». In molti contesti, la chirurgia continua a essere percepita come un territorio esclusivamente “virile”, dove non c’è spazio per la gentilezza, per l’ascolto, per l’empatia. Le donne che vi entrano spesso si trovano isolate, numericamente e culturalmente. «C’è ancora chi crede – o fa finta di credere – che la chirurgia debba essere per forza dura. E così si giustificano comportamenti inaccettabili con la scusa dello stress o della concorrenza. Ma noi lo stress lo conosciamo benissimo, e non per questo umiliamo gli altri».

Women in Surgery Italia è un presidio contro la violenza e le discriminazioni

Women in Surgery Italia, nata per fare rete tra le professioniste del settore, è oggi anche un presidio contro la violenza e le discriminazioni. Tra i suoi strumenti più efficaci c’è il progetto “Speak Up”, una piattaforma di ascolto e supporto per chi subisce soprusi in ambito medico. «”Speak Up” è nato proprio per questo: offrire uno spazio riservato e accogliente a chi vive situazioni di disagio e non sa a chi rivolgersi», racconta Daniela Rega. Le storie raccolte sono diverse, ma condividono la fatica di far riconoscere la violenza, soprattutto quella sottile e quotidiana. «A volte le persone ci scrivono solo per capire se “è tutto nella loro testa” o se quello che vivono è davvero sbagliato. E anche solo nominare certi episodi è già un atto di coraggio». Wis si impegna a offrire ascolto, strumenti, supporto psicologico e, quando necessario, anche legale. «Il nostro compito è stare accanto, dare strumenti, ascoltare senza giudicare. In alcune situazioni bastava sapere di non essere soli». Ma denunciare, o anche solo parlare apertamente, è spesso un salto nel vuoto. Paura, senso di colpa, isolamento. «Il silenzio non nasce solo dalla paura, ma anche dalla solitudine», riflette Daniela Rega. «Questa collega ha scelto di credere nella parola, nella civiltà, nella possibilità che si possa cambiare. E questo richiede un coraggio enorme. Come richiede coraggio anche stare al suo fianco».

Costruire un’alleanza contro la violenza e la discriminazione in chirurgia

Ed è proprio su questa alleanza che occorre insistere. Si tratta di fatto di un sistema che deve cambiare dall’interno, coinvolgendo tutti e tutte. «Il cambiamento vero avverrà quando anche gli uomini decideranno che non si può più stare zitti. Abbiamo bisogno che anche loro dicano: “Questo non è il modo”, “Questo non è normale”». I segnali incoraggianti non mancano. Ci sono medici che hanno sostenuto colleghe nel denunciare, altri che hanno iniziato a riflettere sul proprio linguaggio e sulle dinamiche che alimentano. Persone che hanno scelto di non girarsi dall’altra parte, persino in momenti difficili. «Anche il fatto che qualcuno abbia filmato un’aggressione e abbia scelto di non lasciarla passare sotto silenzio, è un atto di alleanza».

Guardando al futuro, Women in Surgery Italia non intende rallentare. L’obiettivo è rendere il progetto “Speak Up” capillare, formare referenti in ogni struttura ospedaliera, rafforzare i moduli di formazione su discriminazione, microaggressioni, tutele legali. Ma soprattutto, costruire una comunità più ampia, solidale e consapevole. «Vogliamo farlo coinvolgendo sempre più colleghi e colleghe, perché questo cambiamento è collettivo o non sarà», afferma Rega con decisione. «Rispetto all’ultimo episodio di violenza in sala operatoria, con Wis ci stiamo anche muovendo formalmente: abbiamo inviato una lettera al Collegio dei docenti ordinari di Chirurgia Generale chiedendo una presa di posizione chiara su quanto accaduto. Nella lettera sottolineiamo che comportamenti lesivi della dignità professionale non possono trovare spazio nella formazione medica e nella vita delle nostre istituzioni. Abbiamo chiesto che si valuti l’attivazione della Commissione etica e si ribadisca pubblicamente che la violenza, verbale o fisica, non è compatibile con la cultura chirurgica a cui vogliamo tendere. Pensiamo che questo sia un segnale necessario: per chi oggi subisce, per chi assiste in silenzio e per chi, tra le nuove generazioni, guarda al nostro mestiere come a una scelta di passione, competenza e rispetto».

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