
«Quella del Sudan è tra le crisi umanitarie più gravi a cui il mondo sta assistendo. Oltre 12 milioni di persone sono state costrette a lasciare la propria casa e 4 milioni di civili hanno trovato rifugio nei paesi che si trovano al confine. Dal 15 aprile scorso siamo entrati nel terzo anno del conflitto; una guerra che evolve rapidamente e che sta causando migliaia di vittimi, soprattutto civili. Un numero che è destinato a crescere se si considera che il Sudan è ormai un paese ad alto livello di insicurezza alimentare e da una situazione sanitaria molto precaria con un aumento considerevole di epidemie». Il racconto è di Chiara Zaccone, cooperante Coopi – Cooperazione Internazionale, una organizzazione umanitaria italiana fondata nel 1965, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario. In 60 anni ha realizzato più di 3.000 progetti in 70 Paesi del mondo, sostenendo 125 milioni di persone e impiegando 5400 operatori espatriati e 68mila operatori locali. Oggi Coopi è presente in 33 nazioni di Africa, Medioriente, America Latina e Caraibi, nonché in Italia, con 239 progetti umanitari che raggiungono più di 7 milioni di persone.
«Oggi – prosegue la cooperante – stiamo assistendo all’inasprirsi del conflitto dopo che l’esercito sudanese ha ripreso il controllo di gran parte della capitale Khartoum. Molte zone sono senza elettricità e senza acqua perché i combattimenti hanno colpito le principali infrastrutture sia idriche che elettriche. Come Coopi siamo a Khartoum sin dall’inizio del conflitto, dando assistenza alla popolazione e cercando di facilitare l’accesso dei beni di prima necessità ma adesso stiamo studiando il modo di portare il nostro aiuto anche nelle zone limitrofe dove la situazione sta diventando sempre più drammatica».
A pagare il prezzo più alto sono donne e bambini
Come spesso accade in queste situazioni, le principali vittime sono le donne e minori. «Stiamo assistendo ad un aumento esponenziale dell’aumento dei casi di violenza sia fisica che psicologica nei confronti di donne e bambini. Parliamo di un incremento del 480%», ha detto Zaccone. «Molti minori vengono affiliati ai gruppi armati; sono soli e costretti a fuggire. Uno dei segnali più preoccupanti è anche l’aumento dei suicidi delle donne: qualche mese fa oltre 150 donne hanno preferito togliersi la vita pur di sfuggire alle violenze causate dal conflitto. Un tasso di suicidi che sta aumentando anche tra i minori che non vedono una fine del conflitto e soprattutto non vedono speranze per il loro futuro. Per questo tra gli interventi messi in campo da Coopi ci sono anche interventi mirati per dare supporto psicologico e sociale ai minori».
Secondo l’Unicef, con l’intensificarsi dei combattimenti in Darfur, i bambini stanno sopportando il peso di una catastrofe umanitaria sempre più grave. Nelle ultime tre settimane, migliaia di bambini e famiglie sono stati costretti a fuggire dalle loro case – molti per la seconda o terza volta – alla ricerca di un senso di sicurezza sfuggente. L’escalation dei combattimenti dall’11 aprile ha provocato centinaia di morti e un esodo di massa di civili da Al Fasher e dai campi di Abu Shouk e Zamzam. Circa 150.000 persone hanno cercato rifugio ad Al Fasher, ammassandosi in edifici incompiuti, scuole o riparandosi sotto gli alberi – ma ancora esposti ai continui bombardamenti e senza accesso ad acqua sicura, cibo o assistenza sanitaria. Tawila ha accolto altre 180.000 persone, portando il numero totale di sfollati in città a più di 300.000 e mettendo ulteriormente a dura prova i già fragili servizi e sistemi di supporto. Per coloro che sono fuggiti, le condizioni rimangono terribili. Ad Al Fasher, i continui combattimenti hanno gravemente limitato i movimenti e interrotto le operazioni umanitarie. Gli ospedali funzionano a malapena, si prevede che le forniture mediche si esauriranno nel giro di poche settimane e si registra una crescente carenza di acqua e di carburante per i generatori. A questo si aggiungono i focolai di malattie prevenibili che sono in aumento: a Tawila sono stati segnalati più di 800 casi sospetti di morbillo, mentre i servizi nutrizionali critici sono stati sospesi in seguito agli attacchi alle strutture di Zamzam.
Tra le associazioni che operano in Sudan c’è anche Medici Senza Frontiere. Tra le iniziative messe in campo ci sono interventi che riguardano il trattamento della malnutrizione e le campagne di vaccinazione. Un lavoro che diventa particolarmente difficile se si pensa al contesto in cui si opera: le forniture non possono essere consegnate e le strutture e gli operatori sanitari vengono attaccati e saccheggiati.
In due anni 29mila vittime, di cui 7.500 civili
Dallo scoppio della guerra, il 15 aprile 2023, in Sudan oltre 12 milioni di persone risultano sfollate e tra queste quasi 4 milioni hanno cercato rifugio oltre confine, in paesi come Egitto, Ciad e Sud Sudan, che già affrontano forti pressioni umanitarie. Quasi un terzo della popolazione sudanese è sfollato e la metà di loro sono bambini. Ad aggravare il quadro, si aggiungono la crisi alimentare, che colpisce 24 milioni di persone, e l’emergenza idrica, che costringe 270mila persone, inclusi 130mila bambini, ad avere difficoltà a reperire acqua potabile. Anche i servizi di base sono compromessi: nelle zone più colpite dal conflitto, solo il 25% delle strutture sanitarie sono rimaste operative, mentre la mancanza di acqua e le condizioni igieniche precarie stanno favorendo la diffusione di malattie come colera, dengue e malaria.
«In Sudan è in corso una delle più gravi emergenze umanitarie del nostro tempo- sottolinea Ennio Miccoli, Direttore di Coopi – nonostante questo, in un contesto globale segnato da conflitti ad alta intensità, quello sudanese è rimasto ai margini dell’attenzione internazionale, pur avendo effetti devastanti su scala nazionale e regionale».
In due anni il conflitto ha causato quasi 29mila vittime, di cui 7.500 civili, e ha generato un’escalation drammatica di violenze contro i minori, con un aumento del 480% delle gravi violazioni sui bambini. Nei primi tre mesi del 2025 sono già morte, a causa di guerre e conflitti, 50mila persone e si prevede che le vittime continueranno ad essere più di 20mila al mese, mentre milioni di persone vivranno in situazioni di grave emergenza e saranno costrette ad abbandonare le proprie case.
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