
Copyright: Pierre Bouras / 11th Hour Racing / The Ocean Race
Andarsi a cercare le occasioni, un po’ come il vento nei giorni di bonaccia. Si potrebbe azzardare a riassumere così il percorso di Francesca Clapcich, una delle veliste più versatili nello sport. Una rotta che con determinazione e resilienza l’ha portata a gareggiare due volte per l’Italia ai Giochi olimpici, a regatare due volte intorno al mondo con l’Ocean Race e a essere membro dell’American Magic Team per la prima America’s Cup femminile a Barcellona. Potrebbe bastare, ma non a lei, che ha appena annunciato la partecipazione alla Vendee Globe 2028 e una nuova ricerca per studiare la correlazione tra senso di appartenenza e performance, all’interno del suo progetto “Believe, Belong, Achieve”.
Tre anni per prepararsi alla Vendee Globe, prima italiana a partecipare e una delle poche donne (15%): ci racconti come ti stai già da ora preparando?
E’ un progetto sfidante, sarei la prima atleta donna italiana – e americana – a fare il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza. La preparazione è già cominciata, perché bisogna qualificarsi nell’entry list dei 40 skipper, una selezione che prevede, tra le altre cose, il completamento di una traversata oceanica in solitario e quasi 5000 miglia di navigazione in solitario. Ma non solo sola in questa sfida: il mio team è composto da circa 30 persone e la collaborazione è fondamentale. Il mio ruolo oltre che di velista è di manager: saper costruire fiducia, valori comuni e poi delegare ad ognuno il suo pezzo.
Il World Sailing Trust ha constatato che una donna su due (59%) nel mondo della vela ha subito discriminazioni di genere: è ancora un mondo maschile? Qual è la tua esperienza?
E’ un mondo in evoluzione, e vedo segnali di miglioramento in termini di inclusione. Però c’è ancora tanta strada da fare: dopo l’attività olimpica, per esempio, c’è un “gap di opportunità” tra i ragazzi, che trovano più facilmente altri progetti nella vela professionale, e le ragazze, che rischiano di restare a terra. Un altro gap è quello economico: le ragazze spesso scontano una minor capacità negoziale e per loro è più difficile trovare uno sponsor. Penso alla mia esperienza personale: dopo la mia prima Ocean Race, nel 2017-2018, i miei compagni di equipaggio avevano già un network attivo e delle proposte concrete per progetti futuri. Le ragazze a bordo invece quelle stesse telefonate o proposte non le ricevevano con altrettanta facilità.
Ci racconti la nuova iniziativa della campagna “Believe, Belong, Achieve”?
La campagna “Believe, Belong, Achieve”, lanciata l’anno scorso insieme a 11th Hour Racing (organizzazione filantropica statunitense, ndr), si compone di una serie di attività pratiche e didattiche per affrontare la discriminazione e il cambiamento climatico attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e l’azione collettiva. Alla base della nuova iniziativa c’è la convinzione che una cultura di appartenenza – quella sensazione di essere parte di qualcosa e accettati esattamente per quello che si è – ha un potenziale trasformativo per il successo dei team, sia a livello professionistico che di base dello sport e nel mondo più ampio. Ora grazie alla partnership con la Carnegie School of Sport presso la Leeds Beckett University nel Regno Unito – e supportata dal nostro sponsor, 11th Hour Racing – potremo approfondire il modo in cui l’applicazione dei principi di convinzione e appartenenza può aiutare i team a raggiungere obiettivi complessi e condivisi, che avvantaggiano tutti i membri e migliorano le prestazioni. La ricerca si alimenterà con una serie di workshop peer-to-peer per consentire ad atleti, manager e altre parti interessate di comprendere meglio l’importanza e il valore dell’appartenenza, per poter poi farsi promotori di comportamenti che li favoriscano nello sport della vela e oltre. I primi workshop si terranno a breve nella patria delle regate offshore in Bretagna. Il confronto e l’ingaggio sono fondamentali perché ognuno possa sentirsi chiamato in causa e fare la propria parte, non solo in acqua ma anche per la nostra Terra in termini di sostenibilità sociale e climatica.
In una ricerca in partnership con la Barcolana, Generali ha analizzato il valore dei team misti e i freni ad una maggior equità a bordo. tu cosa ne pensi? Qual e’ la tua esperienza?
Io ho navigato in team misti e con ruoli diversi, senza difficoltà. Credo che l’importante sia stabilire le regole del gioco prima di salire a bordo, e chiarire valori ed obiettivi condivisi. Ma è vero che c’ è un crescente numero di team al femminile, forse come risposta all’effetto “boys club”, ancora presente in molti contesti velici. Eppure a nessun viene in mente di chiedere agli uomini perché navigano tutti tra di loro, mentre una barca di sole donne suscita più reazioni, anche contrastanti. Io personalmente lo trovo molto divertente e stimolante: c’è rispetto, sintonia e si crea un legame che va oltre quello professionale.
Tu come hai iniziato a fare vela? e ripensando alla “te” bambina quali consigli daresti ad una tua coetanea di allora?
Io ho iniziato in un piccolo circolo a Trieste, e poi non mi sono più fermata. Ma le occasioni me le sono andate a cercare, spesso prendendo anche in considerazioni opportunità “laterali”, che forse sulla carta non facevano parte di un percorso tradizionale per la vela professionistica, ma erano più concrete e realizzabili. Se aspetti l’occasione giusta, rischi di aspettare per anni, se immagini un percorso in linea retta probabilmente non partirai mai. Quando le 2016 ho finito la campagna olimpica, non c’erano occasioni per la vela inshore professionista, ma ho capito che dovevo andarmele a cercare. E’ questo che direi ad una giovane velista: guarda oltre, sogna immagina e poi prova! Superando anche un po’ di stasi del mondo velico in Italia: si può andare in Bretagna e restare italiani, navigare e vincere per il proprio Paese lo stesso.
Francesca una dopo l’altra è andata a cercarsi le occasioni, proprio come il vento nei giorni di bonaccia. D’altronde – per parafrasare una canzone – è da questi particolari che si giudica una buona velista.
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