La pratica di (provare a) silenziare giornalisti e media con accuse di crimini fiscali o finanziari, non è nuova. Secondo l’Unesco, però l’uso di sanzioni penali basate su accuse di questo tipo sta diventando sempre più frequente. Ed è rilevabile un po’ ovunque nel mondo. Le implicazioni e le conseguenze sono ampie, non solo per come intaccano i giornalisti e i media minandone la reputazione o per i costi connessi. Ma anche perché minacciano profondamente la pluralità dell’informazione.
Nel nuovo documento della sua serie “World Trends in Freedom of Expression and Media Development”, l’agenzia delle Nazioni Unite conferma la crescita della tendenza nell’utilizzo di “accuse pretestuose basate su leggi finanziarie per mettere a tacere giornalisti e media indipendenti”. Una pratica pericolosa, si legge, “con un effetto raggelante sulla libertà di espressione” evidenziata dall’esistenza di “un modello preoccupante di abuso delle leggi e delle procedure amministrative per accusare i giornalisti, spesso parte di un pacchetto di accuse finanziarie e non finanziarie accompagnate da campagne diffamatorie”.
A confermare l’evoluzione della situazione come descritta dall’analisi, arrivano i dati raccolti negli anni di rilevamento e su 120 casi revisionati. Segnalano inoltre i due autori del testo, come nel ventennio a partire dal 2005 un balzo significativo è avvenuto tra il 2019 e il 2023. È durante questi cinque anni infatti che si sono registrate il 60% delle accuse contro i giornalisti. Con un record di 25 casi solo nel 2022. Guardando nel dettaglio alle contestazioni avanzate, la maggior parte dei casi (56) sono di presunta estorsione – soprattutto rilevati nella regione dell’Asia-Pacifico, in Asia centrale e Europa orientale. A seguire, seconde per numero le accuse ai giornalisti e media di evasione fiscale (18 casi) e, in terza posizione, quelle di riciclaggio di denaro (14 casi).
Il potere esecutivo e le autorità fiscali
Cosa differenzia questo tipo di attacchi contro l’indipendenza della stampa e altri strumenti legali impiegati per lo stesso scopo? E cosa li rende oggi particolarmente insidiosi?
Da una parte, chiarisce il documento, la complessità delle accuse entro cui ricadono i crimini fiscali o finanziari contestati, richiede agli imputati una grande quantità di expertise per difendersi – a partire da avvocati tributaristi e penalidi. Per la sua natura intricata, procedimenti simili richiesono un numero di professionisti, competenze e risorse economiche spesso fuori dalla portata degli accusati. Dall’altra, aggrava la situazione il fatto che “In alcuni Paesi il potere esecutivo può incaricare le autorità fiscali e altri uffici di avviare indagini direttamente, aggirando il sistema giudiziario. La relativa facilità con cui tali accuse finanziarie possono essere mosse contro giornalisti e media viola i loro diritti individuali e ha un effetto raggelante a scapito della libertà di espressione”.
Rispetto ad altri tipi di azioni legali che possono essere mosse verso la stampa, come in caso di calunnia o diffamazione, per avanzare dei procedimenti che riguardano crimini fiscali o finanziari non è necessario stabilire un collegamento tra il contenuto prodotto e l’accusa avanzata. Capita frequentemente, inoltre, che gruppi di giornalisti vengano accusati contemporaneamente o si trovino a rispondere a procedimenti multipli.
Non dimentichiamo poi come azioni di questo tipo erodano profondamente la credibilità e la reputazione dei professionisti, andando quindi a complicare ulteriormente la posizione dei media e dei giornalisti stessi – anche a prescindere dal fatto che effettivamente i reati siano confermati. Senza contare poi i costi di difesa dalle sanzioni e, nei casi peggiori, le implicazioni (anche psicologiche) di confrontarsi con il rischio di incarceramento preventivo. Si vede chiaramente, quindi, come le conseguenze si trasferiscono al di là dei singoli procedimenti.
Specifica il testo Unesco: “L’aumento dell’uso di accuse di reati finanziari per mettere a tacere giornalisti e giornali porta alla censura e all’autocensura in tutto il mondo. In alcune regioni, i principali media indipendenti vengono presi di mira per inviare un messaggio agli altri e per bloccare ogni futura critica alle autorità.” Una modalità che sembra starsi diffondendo un po’ ovunque. Infatti, se è un modello chiaro nelle regioni dell’Asia centrale, meridionale e del sud est e negli Stati del sud America – dove frequentemente i giornalisti accusati per reati fiscali vengono messi in prigione -, non è del tutto sconosciuto anche altrove. E se in Europa orientale e in alcune aree asiatiche procedure simili sono osservate da tempo in particolare contro nomi di rilievo, di recente sono diventate comuni anche contro giornalisti meno noti.
Le conseguenze. Non solo per i giornalisti
Oltre ai costi spesso insostenibili, quindi, le conseguenze negative del ricevere accuse di frodi fiscali, evasione o corruzione incidono sulla reputazione dei media e della stampa. E il rischio di essere trascinati in procedimenti penali lunghissimi o di finire addirittura in prigione erodono la libertà con cui si scrive. Di fronte a questa situazione non sorprende troppo allora che si registrino casi di giornalisti in fuga dal loro Paese spinti proprio dal timore dell’avvio (o dall’avvio effettivo) di procedure legali nei loro confronti.
Si sbaglia però se si pensasse che questi eventi siano rilevanti solamente per i diretti interessati o i gruppi editoriali di cui fanno parte. Con l’inasprirsi degli attacchi e certa chiusura rispetto alla stampa etichettata come “contraria” da parte di un dato potere – che si tratti di Governi o capi di Stato -, il danno riguarda il pluralismo dell’informazione. Si impedisce, commentano gli autori del report, a giornalisti e media di svolgere con integrità il proprio lavoro. Si limita l’accessibilità di informazione indipendente e “si impatta la possibilità dei cittadini di impegnarsi su temi di interessa pubblico, che influenzano la vita di tutti i giorni”.
Altro elemento valutato nel documento riguarda la prospettiva di genere. Secondo il report Unesco non ci sarebbero differenze specifiche di incidenza numerica delle accuse avanzate verso giornalisti o giornaliste.
Ma il testo evidenzia come, nel confrontarsi con accuse di reati fiscali, di corruzione o riciclaggio, le donne siano spesso vittime di prolungate campagne d’odio online. Oltre che, ovviamente, vittime di tutte le ripercussioni sopra citate. Indicava un precedente report Unesco specifico sulla violenza contro le professioniste*, l’esistenza di “un legame tra violenza online contro le donne e le molestie legali”.
Non è sola l’agenzia ONU a descrivere queste tendenze cupe. Già a inizio 2024 infatti il Women Press Freedom (The Coalition for Women in Journalism), oltre a indicare un aumento del 253% di violazioni contro le giornaliste sui dati dell’anno precedente, segnalava come solo nel mese di gennaio erano già state contate 92 violazioni della libertà di stampa, venti casi di molestie legali contro professioniste, undici giornaliste vittime di minacce o intimidazioni e otto denunce di abusi sessuali.
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* “The Chilling: a global study of online violence against women journalist”, risalente al 2022, rappresenterebbe il più approfondito volume, in termini geografici, linguistici e etnici mai pubblicato.
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