Nessuno dei target specifici dell’obiettivo 5 sulla parità di genere è stato ad oggi raggiunto. E’ vero che mancano ancora 6 anni al 2030, scadenza per raggiungere i 169 traguardi fissati dall’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta dai 193 Paesi membri Onu. Ma i ritardi si stanno accumulando come emerge dalla fotografia allarmante, pubblicata dall’Organizzazione qualche settimana fa.
La panoramica per il 2024 restituita dallo studio delle Nazioni Unite “Progress on the Sustainable Development Goals”*, sulle pari opportunità non nasconde i progressi fatti, in termini per esempio di declino della povertà o della riduzione della disparità di genere nell’istruzione. Ma nemmeno tace l’evidenza che «il mondo continua a non rispettare gli impegni assunti nei confronti delle donne e delle ragazze». E, inoltre, nel guardare al cammino fatto e ancora da fare, si sofferma su tutti i 17 indicatori, con l’ulteriore obiettivo di rilanciare gli sforzi e accelerare il passo. Anche perché, per ora, le evidenze non restituiscono molte immagini incoraggianti.
Per provare a fare un quadro della situazione in cui siamo oggi è utile partire dai progressi registrati fino ad ora. A livello mondiale, rispetto a 10 anni fa, per esempio, è cresciuto significativamente il numero di donne che occupano un seggio parlamentare (uno su quattro). Al contempo, è scesa sotto il 10% la percentuale di ragazze e donne che vivono in povertà estrema, dopo i picchi registrati negli anni del Covid-19. Dal 2019, inoltre, sempre su scala globale, sono almeno 56 le riforme promulgate per affrontare la disparità di genere.
Ma le conquiste evidenti si fermano un po’ qui.
A passo lent(issim)o
Il progresso è troppo lento e i divari persistono, restando ampi in un po’ tutti gli indicatori dei Sustainable Development Goals. Se si guarda, per esempio, proprio alla rappresentanza nei Parlamenti, ambito che ha conosciuto chiari avanzamenti negli ultimi anni, se il cambiamento mantiene questo ritmo la parità non sarà raggiungibile almeno fino al 2063.
Quando poi si passa a guardare gli altri obiettivi del pilastro della gender equality, la situazione risulta scoraggiante. Si va da differenze che limitano la possibilità di svolgere certe professioni (nel 51% dei Paesi esiste almeno una restrizione che impedisce alle donne di esercitare alcuni lavori) alle violenze di genere (lo scorso anno una donna su otto, tra i 15 e i 49 anni, ha subito violenza sessuale o fisica per mano di un partner).
Senza contare poi che lo donne continuano a occuparsi della cura e dei lavori domestici due volte e mezza più che gli uomini. O che il 54% delle nazioni “non ha leggi che basano la definizione legale di stupro sulla mancanza di consenso libero”. E che intanto, sono “solo” il 72% i Paesi che fissano l’età minima per il matrimonio, per uomini e donne, a 18 anni, senza eccezioni legali. Se si è poi registrato un calo delle percentuali di quante tra i 20 e i 24 si erano sposate prima di raggiugnere la maggiore età – dal 24,1% registrato nel 2003 al 18,7% lo scorso anno- di questo passo comunque la pratica dei matrimoni con minorenni non si eradicherà prima del 2092.
Gli altri obiettivi, attraverso una lente di genere
Dicevamo come il report delle Nazioni Unite non si ferma a guardare solo gli ambiti legati alla parità di genere e all’Obiettivo 5, ma allarga lo sguardo su altri aspetti dello sviluppo sostenibile, osservandoli però con una lente di genere. Una osservazione appare abbastanza comune: in molti casi, dalle questioni climatiche alla povertà, se ci si avvicinasse ai traguardi stabiliti, intervenendo non solo si instaurerebbero circoli virtuosi, ma si otterrebbero anche benefici calcolabili in ambiti molto diversi.
Secondo l’analisi, ci vorranno, per esempio, 137 anni per far uscire dalla povertà estrema tutte le ragazze e le donne – oggi sono 47,.8 milioni in più degli uomini a vivere in condizioni di moderata o grave insicurezza alimentare. Inoltre mediamente impiegano 250 milioni di ore al giorno nella raccolta di acqua, tre volte più che uomini e bambini. Sottolinea il report che, se si colmasse il divario di genere nella produzione agricola e nei salari nei settori collegati, due fattori legati alle disparità appena menzionate, si potrebbero ridurre di 45 milioni di persone (a prescindere dal genere) il numero totale di quanti vivono soggetti a questo tipo di fragilità.
Ad aggravare la situazione, dati 2023 indicano che 612 milioni di donne e bambine vivevano ad meno di 50 chilometro da uno dei 170 conflitti armati attivi all’epoca. E quindi molto più facilmente a rischio povertà. Una crescita del 41% rispetto a 9 anni fa e che credibilmente è andata aumentando ulteriormente negli ultimi mesi.
Il quadro non è roseo nemmeno in tema istruzione. Oggi, per quanto il numero si sia ridotto di 5,4 milioni rispetto al 2015, sono ancora oltre 119 milioni le bambine che non vanno a scuola. I Intanto il costo annuale globale del deficit legato all’apprendimento è arrivato a superare i 10mila miliardi di dollari. Per dare un’idea della portata di questo numero, basti pensare che corrisponde al PIL di Francia e Giappone messi insieme. Se si guarda alla sola Africa sub-sahariana, la quota raggiunge i 210 miliardi di dollari, ovvero oltre il 10% del PIL di tutta la regione.
Intervenire è urgente
Il 2030 si avvicina. Ma ancora nessun obiettivo è stato completato. E in troppi casi la linea d’arrivo sembra fuori portata. Tra gli indicatori per cui esistono numeri sufficienti, solo due risultano “vicini al traguardo”. Otto sono “a una distanza moderata” e tre “lontani dai target”. Uno è addirittura “molto lontano dal target”.
Eppure, leggendo le raccomandazioni del documento delle Nazioni Unite, investimenti specifici possono davvero portare a “risultati trasformativi”. In particolare la parità di genere si velocizzerebbe se si orientassero i capitali in aree dall’energia, alla connettività digitale, dall’educazione alla protezione sociale e alla resilienza climatica. E i benefici sarebbero considerevoli, già a partire dalla riduzione importante di (certi) costi.
Specifica il report: chiudere il gender gap nel settore agricolo, per esempio, oltre a togliere da situazioni di insicurezza alimentare 45 milioni di persone, porterebbe a un aumento del PIL globale di mille miliardi di dollari.
Al contrario, senza una corretta gestione, il digital divide di genere potrebbe costare alle economie di Paesi a basso e medio reddito circa 500 miliardi nei prossimi cinque anni. Mentre il costo annuale mondiale delle nazioni che non riescono a offrire una adeguata istruzione ai loro giovani supera i 10 mila miliardi di dollari.
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* Il documento è pubblicato congiuntamente da UN DESA (United Nation Department of Economic and Social Affairs) e UN Women.
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