La cittadinanza ai bambini e ai ragazzi nati in Italia e cresciuti in Italia è un diritto che nel nostro Paese non viene ancora riconosciuto. Legge, invece, che esiste in altri Paesi europei come in Gran Bretagna. Da settimane si è riacceso il dibattito sullo Ius scholae, ovvero un testo di riforma che lega l’acquisizione della cittadinanza italiana al compimento di un ciclo di studi. Uno strumento, che se adottato, potrebbe rappresentare una opportunità di crescita per il nostro Paese che sta vivendo un gelido inverno da un punto di vista demografico. Al contempo però questo strumento da solo non basta; servirebbero azioni più decise per riconoscere i diritti dei migranti e quindi favorire una integrazione vera e di conseguenza proficua.
Attraverso le voci di diversi esperti e accademici, abbiamo cercato di capire quali sono le opportunità che potrebbero nascere dallo Ius Scholae che però rappresenta solo un primo passo per garantire una eguaglianza nei diritti. L’Italia – dicono gli esperti – ha ancora molta strada davanti a sé ed è necessario che la politica agisca guardando al futuro e agisca con coraggio.
Un passo importante ma rallenta il traguardo della cittadinanza
«È certamente un passo importante verso il riconoscimento dei diritti degli oltre 914.000 minori stranieri che frequentano la scuola in Italia. Non è però, a mio avviso, lo strumento migliore che si possa mettere in campo poiché comporta comunque un rallentamento nel riconoscimento del diritto di cittadinanza di minori che sono spesso non solo nati in Italia ma che vivono in famiglie che risiedono in Italia da molti anni e sono parte attiva del sistema sociale nazionale», spiega Alberto Polito, psicoterapeuta e giudice onorario presso il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.
«Sarebbe uno strumento più adeguato quello che viene chiamato ius soli “temperato”, che lega il diritto alla cittadinanza alla lunga residenza dei genitori in Italia. In questo modo si potrebbe garantire il diritto di cittadinanza in tempi molto brevi. Questa opzione é già stata scelta da diversi paesi europei quali Belgio, Germania, Irlanda e Portogallo». Secondo Polito alla base continua a permanere di una sorta di «paura che possiamo sentire verso ciò che è diverso da noi e di perdere la nostra integrità identitaria.
La storia italiana ci insegna che la nostra cultura è già frutto di molteplici positive contaminazioni. Credo nella possibilità di ragionamento critico degli italiani, nelle possibilità di dialogo per trovare delle soluzioni e non lasciare in sospeso i diritti individuali». Proprio per questo lo Ius scholae potrebbe essere un «primo spiraglio per molti bambini e ragazzi per avare un riconoscimento sociale. Può costituire un primo passo in un’altra direzione, verso l’inclusione, il senso di comunione e di responsabilità reciproca che deve accomunarci».
Un ragionevole compromesso ma bisogna intervenire sull’età dei ragazzi
Secondo il sociologo e docente del dipartimento di Scienze Sociali e Politiche all’Università Statale di Milano, Maurizio Ambrosini, serve un intervento più mirato. «Lo Ius scholae è un ragionevole compromesso ma serve un intervento che sia legato all’età». Al momento, coì come è pensato, lo Ius scholae non prende in considerazione «quegli studenti stranieri che a scuola fanno fatica. Sembra che si voglia replicare il modello di fine Ottocento quando per avere il diritto di voto bisognava avere un certo livello di istruzione. Quel modello è stato superato e la stessa cosa, a mio avviso, deve accadere per quanto riguarda i migranti. Lo Ius scholae dovrebbe essere uno strumento per anticipare il traguardo della cittadinanza che dovrebbe essere aperta a tutti».
Secondo l’esperto in Italia il dibattito sulla cittadinanza si muove tra due concezioni. La prima, più tradizionale, che vede la cittadinanza come traguardo e quindi come qualcosa che va «meritata» attraverso l’impegno scolastico. «L’altra, invece, è più liberale e si concentra sull’idea di cittadinanza come via per l’integrazione. Una prospettiva, quest’ultima, che negli ultimi anni ha perso terreno, consolidando l’idea di una cittadinanza meritata. Da qui l’introduzione di test di lingua, di conoscenza dell’educazione civica, della storia del nostro Paese. Tutti elementi che puntano a dimostrare di avere i requisiti per ottenere la cittadinanza».
In merito alla possibilità che lo Ius scholae possa in qualche modo aiutare l’Italia a fronteggiare il profondo calo demografico, Ambrosini si definisce «freddo. E’ un argomento debole. Non basta avare figli: se non si hanno giovani che hanno delle competenze questi non rappresentano una risorsa per il Paese ma un fardello e quindi un costo. Il punto è avere in Italia giovani preparati, competenti». Ambrosini, infine, ritiene che non un cambio legislativo non passa necessariamente da un cambio di mentalità del Paese.
«Se la mettiamo così – spiega – le norme non saranno mai cambiate. La Grecia e la Spagna hanno adottato norme molto più liberali nel profondo della loro crisi economica. Non si sono spaventati. E’ controproducente, a mio avviso, legare il dibattito sulla cittadinanza ai livelli di disoccupazione o dell’inflazione. C’è bisogno di coraggio e di innovare. Bisogna incanalare la cultura attraverso l’azione politica. Quando è stato dato alle donne il diritto di voto, in molti ritenevano che i tempi non erano maturi o che addirittura non fosse giusto. In quel caso la politica ha guardato avanti ed è quello che deve fare anche oggi. Vedo sicuramente un problema di mentalità ma non credo che aspettare una evoluzione culturale possa cambiare le cose. Certo bisogna promuovere una nuova visione ma la politica deve guardare avanti».
Una opportunità per rendere l’Italia competitiva
Per Edgar Serrano, docente del dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità, dell’Università di Padova la parola su cui concentrarsi è «futuribile»: gli ultimi dati Istat indicano che nel 2023 circa 100mila giovani italiani sono andati via dal nostro Paese, «giovani laureati, talenti; una vera e propria fuga di cervelli. Al contempo sono entrati in Italia sono entrati meno stranieri. Questo problema obbliga classe dirigente a riflettere su quale è futuro del Paese. Per questo sono convinto che serva una politica di ripopolamento, dando le più ampie garanzie a chi vuole avere la cittadinanza, altrimenti si rischia di perdere in competitività».
Tenendo conto dell’inverno demografico che sta vivendo l’Italia e la presenza importante di studenti stranieri nelle scuole italiane lo Ius scholae potrebbe rappresentare «un passo importante per dare qualità a questi ragazzi. La questione è socio-culturale prima che politica ma fa piacere che il governo apra gli occhi su questa tematica». A detta di Serrano «è urgente che il Paese si doti di un nuovo strumento per invertire la rotta di questo inverno demografico». Quello che manca, però, è «un dialogo con la classe politica. Anzi serve un dialogo a più voci: governo, imprese, sindacati e società civile per trovare delle modalità veloci per ripopolare e colare questo vuoto demografico che c’è tra una generazione e l’altra».
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