Sindrome di Rett, dalla parte delle bambine che parlano con gli occhi

Anita nasce apparentemente sana da una gravidanza senza complicazioni. «Intorno ai sei mesi di età – racconta Francesca, la mamma – il papà e io iniziammo a notare qualcosa. La bambina aveva uno sguardo strano e a differenza dei suoi coetanei non stava seduta». Il pediatra suggerisce di aspettare i nove mesi, «ogni bambino ha i suoi tempi di sviluppo, ci rassicurava, dovevamo solo aspettare». Dopo diverse indagini, quando Anita ha circa due anni e mezzo, la diagnosi: Sindrome di Rett.

Una rara malattia genetica che colpisce le bambine

Si tratta di una rara malattia genetica, con un’incidenza di 1 su 10mila, che colpisce quasi esclusivamente il genere femminile. A partire dai 6 – 18 mesi, le bambine perdono le abilità motorie e cognitive acquisite e sviluppano alterazioni nelle interazioni sociali, perdita delle capacità linguistiche e movimenti ripetitivi delle mani.

«Il momento peggiore è quando ti accorgi che qualcosa non va» continua Francesca. «Quando quella diversità ha un nome, cominci a muoverti alla ricerca di punti di riferimento, altri genitori, associazioni. Ed è così che, dalla provincia di Viterbo, siamo venuti a contatto con AiRett».

AiRett, una associazione attiva da 30 anni

Questa realtà associativa da più di trent’anni promuove la ricerca genetica e clinica e implementa progetti volti a migliorare la qualità della vita delle pazienti. Tra questi, la tele-riabilitazione, per permettere a tutte le bambine e ragazze con sindrome di Rett di beneficiare dei servizi offerti dal centro AiRett di Verona.

«La tele-riabilitazione è un’opportunità preziosa per la gestione delle terapie riabilitative – afferma Michela Perina, fisioterapista del Centro AiRett Innovazione e Ricerca – specialmente in contesti dove l’accesso a terapie specialistiche è limitato, come spesso accade in molte parti d’Italia. La sua potenzialità è ancora maggiore se parliamo di malattie rare, per le quali le linee guida e i protocolli di trattamento possono essere carenti o non esistenti. Proprio per questo è importante avere la possibilità di rivolgersi a specialisti che conoscano le caratteristiche della patologia e che siano aggiornati sulle ultime evidenze scientifiche, consentendo alle bambine affette da questa malattia di ricevere trattamenti mirati e massimizzare gli effetti della riabilitazione neuromotoria».

Come cambia la quotidianità

Le ricadute positive della tele-riabilitazione si manifestano concretamente nella vita quotidiana delle bambine e delle loro famiglie. “Un trattamento riabilitativo efficace – prosegue Michela Perina – può migliorare significativamente le abilità motorie e funzionali delle bambine, facilitando l’autonomia nelle attività quotidiane come il pasto, la partecipazione scolastica, il movimento e il gioco”.

Anita, che oggi ha nove anni, frequenta la seconda elementare. «E’ una bambina serena – racconta la mamma. Comunica con lo sguardo attraverso un puntatore oculare che viene letto da un computer e permette alla bambina di orientarsi e scegliere tra immagini, numeri, colori, giochi, e condividerle con gli altri tramite app e smartphone».

La piattaforma tecnologica Amelie, nata da un progetto di AiRett e realizzato in collaborazione con la Fondazione Vodafone, consente alle bambine di comunicare e apprendere e a caregiver e scienziati di raccogliere dati.

Lo sguardo degli altri

Bambine che comunicano con lo sguardo, genitori che devono convivere anche con lo sguardo degli altri. Quanto pesa? «All’inizio tanto, poi non ci fai davvero più caso», osserva Francesca. Ma lo sguardo degli altri pesa non solo quando fissa, ma anche quando viene distolto, come se sostenere quello di una bambina fosse disturbante. «Mi ferivano coloro che vedendo Arya, giravano la testa», racconta Agnese, mamma di una bimba di quasi 6 anni, con sindrome di Rett. «Io quello sguardo lo volevo e lo voglio attirare perché credo che solo con la partecipazione attiva di tutta una comunità si possa davvero imparare a stare tutti insieme».

Arya ha ricevuto la diagnosi a poco più di due anni, i segnali erano quelli più frequenti: una improvvisa regressione nello sviluppo psico motorio, dopo i sei mesi. «Inizialmente pensavano a una sindrome dello spettro autistico, ma i test genetici hanno detto altro. E’ stato un momento di grande confusione mentale, non ce la sentivamo di contattare altri genitori, ci siamo un po’ chiusi, abbiamo cercato modelli di riabilitazione. Poi ci siamo iscritti ad AiRett». Come Anita, Ayra comunica con un puntatore oculare. Come la mamma, Ayra ama la musica.

«Ho studiato danza per tanti anni, il mio sogno quando ero incinta era ballare con mia figlia. Ci sono riuscita la scorsa estate, quando insieme a tanti volontari e alla cooperativa sociale Eloiseloro, cofondata da Francesca Varagnolo, mia insegnante di ballo, abbiamo organizzato a Lama Mocogno, il nostro paese in provincia di Modena, I giochi senza barriere. Una festa per raccogliere fondi per acquistare una pedana per il bus che porta a scuola i bambini. L’obiettivo di raccolta è stato centrato, ma anche quello di stare insieme, normodotati e persone con diverse abilità. La mia più grande soddisfazione? Oggi i bambini comunicano direttamente con Ayra. Gli sguardi non fissano e non scappano più: si incontrano».

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