Ragazzi in affido, servono più tutele e risorse

«Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento» è il titolo del disegno di legge che porta la firma dei ministri Eugenia Roccella e Carlo Nordio, approvato dal consiglio dei ministri il 26 marzo scorso.  Un ddl che punta a far luce sul numero dei minori collocati fuori dalla famiglia di origine, sulle famiglie affidatarie e sulle strutture per i minorenni, attraverso l’istituzione di un registro nazionale presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, un registro per ogni tribunale e un osservatorio.  L’obiettivo: “contrastare il fenomeno dell’istituzionalizzazione impropria”, si legge nel testo. Da anni gli operatori, in primis Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) e Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, denunciano l’assenza di una banca dati nazionale, ma ricordano che l’obiettivo dell’affido è tutelare i minori, con una priorità: aiutare le famiglie d’origine, anche attraverso il programma P.I.P.P.I del Ministero del lavoro. L’invito, dunque, è valorizzare gli strumenti già esistenti, chiedendo alle regioni di ratificare le nuove linee di indirizzo approvate a febbraio, per superare frammentazioni e disuguaglianze. Molte sono, infatti, ancora le difficoltà all’interno del sistema d’accoglienza in Italia.

 Il nuovo ddl

Sono tre, in particolare, le criticità individuate dagli operatori sul nuovo disegno di legge di tutela dell’affido: l’assenza di risorse, visto che il nuovo provvedimento è a costo zero; il fatto che il governo non implementi gli strumenti già esistenti, ma riparta ogni volta da zero; il timore che l’istituto dell’affido possa essere svalutato. Preoccupazione quest’ultima evidenziata anche dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti. “Bene la raccolta dati su base uniforme su tutto il territorio e un monitoraggio volto a verificare che sussistano ancora quei presupposti che hanno determinato l’allontanamento del minore dalla sua famiglia. Tuttavia, i tribunali per i minorenni sono già in affanno: non so come potranno affrontare l’aggravio legato all’inserimento dei dati nell’istituendo registro, vista l’invarianza finanziaria del ddl”, spiega Garlatti. “La seconda preoccupazione è più profonda – continua l’Autorità Garante – per come è stato presentato il ddl e per la sua stessa denominazione, non vorrei che nascondesse un giudizio di svalutazione dell’istituto dell’affido, che è invece prezioso a tutela il minore. Il titolo è Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento, ma in realtà è l’affidamento stesso che tutela il minore”.

I numeri mancanti

Nel nostro paese la responsabilità socioeducativa spetta alle regioni, quindi i dati vengono raccolti attraverso le regioni o attraverso le procure, come nel monitoraggio dell’Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza. Per questo motivo si tratta di dati parziali, incompleti e disomogenei. “Serve un sistema che preveda una modalità certa, a partire dall’individuazione delle motivazioni degli allontanamenti e in tempo reale”, sottolinea Liviana Marelli, referente per infanzia, adolescenza e famiglie del Cnca. Ma la domanda è: “perché dobbiamo immaginare nuove modalità di raccolta dei dati, quando basterebbe implementare il sistema Sinba, già individuato anni fa dal Ministero del lavoro”, chiede Marelli. Il sistema Sinba – Sistema informativo nazionale sui bambini e gli adolescenti – in realtà ha avuto parere non favorevole del Garante della privacy, che non permette di riconnettere a livello ministeriale le prestazioni erogate ai minori, neanche in forma anonima. Il ddl Roccella – Nordio prevede, invece, la raccolta del dato aggregato su base provinciale.

Al 31 dicembre 2020, secondo gli ultimi dati disponibili del ministero del Lavoro, erano oltre 26.200 i minori collocati fuori famiglia, al netto dei minori stranieri non accompagnati: 12.815 in affidamento familiare, 13.408 accolti in servizi residenziali, le comunità per minorenni. Numeri più o meno in linea rispetto agli anni precedenti, ma comunque inferiori rispetto a quelli di altri paesi europei. Secondo l’indagine Eurochild, il numero di minorenni fuori dalla famiglia di origine a fine 2019 in Italia era pari a circa 27mila, ovvero 2,7 minorenni ogni mille abitanti di minore età, al penultimo posto dopo la Grecia (1,1 ‰), contro l’11,2 della Francia, dove i minori fuori famiglia erano 158mila, il 10,8 della Germania (147.700) , il 7,5 del Regno Unito (105mila), il 5 della Spagna (40.800 minori).

Le criticità dell’accoglienza

Mancanza di risorse adeguate, poca trasparenza, frammentazione e disuguaglianze tra le regioni, intervento poco tempestivi sono tra i punti critici oggi del sistema dell’accoglienza dei minori collocati fuori famiglia.  “Nel nostro paese assistiamo a una disattenzione da parte delle istituzioni locali e nazionali verso un’accoglienza di qualità. Se le regioni prevedono nelle comunità circa 5 educatori per ogni bambino ma non ci sono le risorse, come è possibile mantenere questi standard?”, spiega Federico Zullo, presidente e fondatore di Agevolando, organizzazione che lavora con e per i ragazzi in uscita dai percorsi di accoglienza fuori famiglia. Le rette per le comunità, che ospitano da 6 a 10 minori al massimo, variano da regione a regione, da comune a comune e da struttura a struttura. Per ogni minore ospitato, la retta equa si aggirerebbe, secondo gli operatori, intorno ai 115 – 130 euro al giorno a minore. Tante comunità percepiscono in media tra i 60 euro e i 90 euro al giorno a bambino.

Altro punto su cui servirebbe maggiore chiarezza è quello relativo alle motivazioni alla base degli allontanamenti dei minori. Dal monitoraggio dell’Autorità Garante del 2020, a cui hanno partecipato 27 procure su 29, è emerso che nel 78% dei casi il collocamento dei minorenni in struttura è stato disposto dall’autorità giudiziaria, nel 12% dei casi è stato invece disposto con il consenso dei genitori. Il 10% sono allontanamenti d’urgenza ex articolo 403 del codice civile (il dato è stato comunicato da 18 procure). Sondando tra le regioni, tra i motivi principali dichiarati alla base degli allontanamenti vi sono difficoltà educative della famiglia, gravissima trascuratezza o incuria, conflittualità tra genitori. Oppure problemi di dipendenza e gravi disturbi di salute mentale dei genitori, violenza assistita, maltrattamenti.

Il programma di intervento

Altro problema fondamentale è il fatto che la maggior parte dei ragazzi in comunità ha tra i 15 e i 17 anni (a fine 2020 erano il 45%, il 21,3% aveva tra gli 11 e i 14 anni) e si tratta di giovani spesso con forti difficoltà.  Il periodo in cui si rileva il più alto rischio di accoglienza nei servizi residenziali per minorenni è infatti la tarda adolescenza, segno che gli interventi vengono realizzati troppo tardi. Qui si inserisce P.I.P.P.I., programma di intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione, formazione azione e ricerca, rivolto a famiglie, con figli fino agli 11 anni, in condizioni di vulnerabilità: socioeconomica, culturale, psicosociale e così via Partito nel 2011 con 10 città metropolitane, ora P.I.P.P.I conta più di 5000 famiglie e oltre 15mila operatori in tutti i 600 ambiti territoriali italiani. La svolta nel 2021 con l’ingresso nei Leps – livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali – e nei progetti finanziati nell’ambito del Pnrr. Il programma fa capo al ministero delle Politiche Sociali ed è coordinato dal Labrief, il Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dell’Università di Padova. 

Il programma P.I.P.P.I garantisce il diritto della famiglia che affronta un periodo di vulnerabilità a essere accompagnata: nel 90% dei casi, la genitorialità è ancora a capo delle famiglie. “Il punto chiave è tutelare lo sviluppo dei bambini, includendo i genitori nel progetto”, dichiara Paola Milani, docente delluniversità di Padova e responsabile di P.I.P.P.I. In merito all’età dei minori, la percentuale di bambini molto piccoli, 0 – 36 mesi, coinvolti nel programma costituisce ancora una minoranza, ma evidenzia un trend in crescita: da poco più del 6% del 2017/2018 all’11% del totale. Se osserviamo i dati sui collocamenti esterni alla famiglia, i numeri sono stabili: sono riconoscibili 12 bambini e bambine allontanati, pari all’1,8% durante il percorso 2021 – 2023 e 29 che stavano già sperimentan­do un’esperienza di collocamento esterno alla famiglia al momento dell’inclusione nel Programma. Per 5 di essi il percorso si è concluso con il rientro in famiglia. “Il dato che manca è sapere quanti bambini vengono allontanati in Italia rispetto al numero dei bambini presi in carico dai servizi sociali. Questa cifra in Italia non c’è: sarebbe dovuta emergere grazie al sistema Sinba. Nel frattempo si asta riuscendo ad alimentare il Sioss, Sistema informativo operativo servizi sociali”, aggiunge Milani.

La zona d’ombra

Senza i dati permangono zone d’ombra, che gettano nell’invisibilità i bambini e i loro genitori, soprattutto in situazioni di povertà economica, educativa, sociale, culturale. L’invito, dunque, degli operatori è valorizzare gli strumenti già esistenti, sostenere i livelli di controllo previsti e chiedere alle regioni di ratificare al più presto le nuove linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza residenziale e quelle sull’affidamento familiare dei minorenni, approvate l’8 febbraio dalla Conferenza stato – regioni.  Le linee di indirizzo delineano i criteri per un buon affidamento e un buon inserimento in comunità, ripercorrendo tutte le fasi del processo, a partire dal sostegno alla famiglia d’origine. L’obiettivo è superare la frammentazione e le disuguaglianze che oggi esistono poiché ogni regione decide in maniera autonoma, in modo da lavorare insieme e “garantire la piena attuazione del principio del superiore interesse del minore e del diritto dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere all’interno delle loro famiglie di origine”, come recita il testo del ddl.

Qui il link al reportage completo che potete ascoltare su Radio24

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