Di Catania in questi giorni bisogna parlare. Per almeno un paio di buoni motivi che possono essere guardati attraverso un’unica lente.
C’è la premier al balcone del palazzo di città, con lei il sindaco Enrico Trantino e gli stati generali della regione, presidente Renato Schifani incluso. È il 3 febbraio e quella etnea è ufficialmente una città in festa. Sfila per il centro storico, per 3 giorni interi, una marea umana ammantata di un sacco bianco, simbolo del culto legato alla santa patrona.
Quella di Sant’Agata è una manifestazione conosciuta e seguita pressoché ovunque, è la terza festa religiosa più famosa al mondo. Il fercolo che contiene le reliquie dell’adolescente martirizzata nel 251 d.c., per avere respinto il console Quinziano, racconta la storia attualissima di un femminicidio ai tempi del terzo secolo.
Ma che sia chiaro, oggi come ieri è ancora di violenza contro le donne che bisogna parlare. Non si può tacere. Non ci sono feste, né sante da portare in processione se continuano ad alternarsi femminicidi e stupri.
Lo stupro di gruppo
Questa volta a finire in cronaca è stata una bambina. Una tredicenne violentata dal branco. I fatti di Catania sono di qualche giorno fa. Eppure, la notizia è trapelata solo dopo che la macchina della festa s’è messa in moto. Erano in 7, due dei quali minorenni, tutti di nazionalità straniera: le hanno sbarrato la strada, lei era in compagnia del fidanzatino, immobilizzato e picchiato. La passeggiata al giardino Bellini (l’area verde più grande del centro città), si è presto trasformata in un incubo: spinta dentro ai bagni pubblici la ragazzina è stata stuprata, in pieno giorno.
Se vogliamo dire di lei, dobbiamo dire intanto del suo coraggio e della forza che ad appena 13 anni sembra accecante. In un confronto all’americana davanti agli inquirenti ha riconosciuto due minorenni e il resto dei responsabili sono stati tutti individuati e fermati, nel giro di poche ore, grazie anche alle testimonianze del fidanzato e alle immagini della videosorveglianza nella zona.
La vicinanza della città
Nemmeno la città è rimasta muta. Ha risposto con una manifestazione, voluta in primis dalle femministe. Al grido “Sorella non sei sola. Ci vogliamo viv3 e liber3“, hanno percorso le stesse strade della festa, strette in un corteo improvvisato. Rabbia e indignazione erano palpabili e il pensiero era rivolto alla piccola che è la figlia e la sorella di tutte e di tutti.
Le questioni che si pongono adesso sono chiarissime. E sono sempre le stesse, da troppo tempo ormai. Anche le parole per dirle sono le stesse, le conosciamo, alcune sono parole abusate dalla politica di ogni colore, da decenni.
I dati sono vite
Numeri alla mano, i dati che fanno riflettere sono di dicembre e sono della Direzione Centrale della Polizia Criminale. Mentre l’indagine registra un trend in diminuzione (dai 4.909 episodi di stupro del periodo 2022 ai 4.341 dell’analogo periodo del 2023) con le vittime femminili al 91% non è peregrino chiedersi quanto sommerso vi sia. Come si fa a non domandarsi quante siano le donne violentate (dentro e fuori dalle mura domestiche) che non denunciano perché terrorizzate dall’idea di doversi difendere dal processo più che nel processo. Di donne ri-vittimizzate, ci dicono le condanne comminate all’Italia dagli organismi internazionali. Decisioni che hanno scoperchiato il vaso di Pandora: l’uso di pregiudizi giudiziari sessisti ai danni di quante avevano denunciato stupri e violenze sessuali, sono macchie di fango, per un Paese civile.
È certamente dalle istituzioni che bisogna pretendere risposte. Non serve però che la politica di questi giorni cerchi soluzioni securitarie. Serve invece che investa, servono servizi. Serve una rivoluzione culturale e servono risorse.
La verità è che bisogna far presto, perché è già tardi. Le donne non sono al sicuro, in nessun luogo e in nessun tempo.
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