In un’epoca di tanti Batman senza Robin e zone di comfort costruite per essere sempre più invalicabili, siamo ancora disposti ad ascoltare il nostro cuore e compiere piccole rivoluzioni emotive? Questa domanda ricorre ciclicamente nella mia vita, come fosse un appuntamento col destino in stile Sliding Doors. Non ho ancora trovato una risposta precisa e forse neanche c’è. Quello che però (nel mio piccolo e fino ad ora) sono riuscito a comprendere, è che ogni rivoluzione interiore provoca sempre uno smontamento positivo che ci insegna ad essere duttili e resistenti. Cosicché la vita cambi con noi e intorno a noi. In meglio.
Queste mini rivoluzioni, nel mio caso, hanno bisogno di poco per compiersi: due ruote, un telaio, un paio di borse col nécessaire e la voglia di svuotarmi del superfluo, per tornare ad essere un vaso da riempire. La ricetta è semplice: il cuore chiama e io scelgo un posto che mi piacerebbe visitare e i giorni in cui potrò farlo. Preparo le tracce, organizzo un minimo di logistica, mi carico di entusiasmo e mi metto a pedalare. Ho passato il Natale appena trascorso (per me il primo “non tradizionale”) così, facendo quello che amo di più e che mi fa sentire in pace. Di tutte le scelte, diverse fra loro, che potessi fare per affrontare un ostacolo, queste sono state le più azzeccate. Perchè mi hanno sempre restituito un altro me, capace di splendere anche con le nuvole.
Una scintilla scoccata dopo il primo docufilm di Jovanotti
Non è la prima volta che utilizzo la bici come mezzo per viaggiare. Ho cominciato nel 2017, un po’ per gioco e curiosità e molto sull’onda dell’entusiasmo. In tv avevo visto il docufilm Vado a farmi un giro – Jova Zelanda di Jovanotti, che raccontava il suo secondo viaggio in bicicletta in solitaria in Nuova Zelanda (dopo quello del ’98 in Patagonia). E lo faceva per la prima volta con l’ausilio di una piccola telecamera. L’hashtag #vadoafarmiungiro divenne in breve tempo virale e mi rimase impresso a tal punto che quando decisi di provare quest’esperienza (tre giorni tra Abruzzo, Umbria e Marche), creai per gioco il “mio” hashtag: #vadoaperderequalchechilo. Era molto ironico ma racchiudeva anche un po’ della mia storia personale, quella di un 26enne sedentario di 120 kg che vent’anni fa, grazie allo sport (e alla bici in particolare), si è dato una seconda opportunità.
Un battesimo oltre confine
Di anno in anno, tra una pedalata e l’altra, sono arrivato al 2023, che mi ha regalato due piccoli viaggi. Il primo in estate per tornare dai miei genitori in Abruzzo e il secondo tra Natale e Capodanno per raggiungere la Costa Azzurra, un luogo custode di tanti ricordi. Rispetto alle mie abitudini, stavolta ho voluto fare un’esperienza diversa e alzare un po’ l’asticella. Era la prima volta, infatti, che passavo il confine italiano. E non mi è dispiaciuto affatto. Anzi, è stata una bella occasione per mettermi alla prova sperimentando qualche difficoltà in più, prima fra tutte la lingua. Il mio inglese era un po’ arrugginito e aveva bisogno di una ripulita, e col francese ero allo stesso livello di Totò in Piazza Duomo nel film “Totò, Peppino e la Malafemmina”. Ma non è stato un problema.
Il viaggio dei colori
La prima tappa è stata Carbonara Scrivia (Alessandria), nel Basso Piemonte. Una zona ricca di colori. Ho pedalato circa 90 km tra piccoli borghi e strade secondarie di campagna, senza incontrare praticamente nessuno. Un bell’esercizio di silenzio utile a far passare anche la fame. Il pomeriggio seguente ero già in Liguria. Allora ho avuto l’impressione che fosse il viaggio dei colori, perché li avevo visti tutti. Partito con il sole che mi aveva accompagnato fino a lambire un tratto di Monferrato e dopo aver attraversato la ciclovia dei pellegrini (strada che collega il Moncenisio con la Liguria), al Passo del Turchino Madre Natura mi ha fatto vedere l’avorio intenso della nebbia fitta misto a tante sfumature di arancio. E in cima ho preso anche un po’ d’acqua e un po’ di vento. Ci volevano entrambi.
La discesa verso il mare ha aperto la vista sulla Riviera di Ponente. Prima Arenzano, poi Varazze e infine Celle Ligure, dove sono arrivato dopo 100 km e un bel po’ di dislivello, ma soprattutto dopo una tempesta. I colori giallo e arancio dopo la pioggia sono come quando si fa la pace dopo aver litigato. In fondo, mi sono detto a fine tappa, il significato del Natale dovrebbe essere proprio questo: i colori dopo il grigio.
Non avere nulla ma avere tutto
All’alba di Santo Stefano sono partito per la tappa più lunga di tutto il viaggio: da Celle Ligure a Sanremo, 113 km tra piste ciclabili e tratti di Aurelia colorati di blu in tutte le sfumature. L’idea di svegliarmi presto non mi pesava, al contrario. Non vedevo l’ora di pedalare con gli occhi rivolti al mare. Ho attraversato Albissola Marina, Bergeggi, Spotorno, Noli, la Baia dei Saraceni, Varigotti, Finale Ligure, Borghetto, Albenga, Alassio, Andora e Imperia, fino a percorrere gli ultimi chilometri sulla famosa ciclabile di Santo Stefano al Mare. In quel momento, ho cominciato a percepire il beneficio di quel modo diverso di pedalare. Così tanto povero quanto essenziale. Ero in giro da tre giorni con uno zainetto in spalla e una borsa sottosella col minimo indispensabile per lavarmi e vestirmi. Non avevo nulla eppure avevo tutto. E quello che mi mancava lo ritrovavo riflesso nel mare. Bastava questo per tornare a riempire il mio vaso.
La magia della Costa Azzurra in bicicletta
Ho un debole per la musica francese. Un po’ perchè mi riporta alla mente bei ricordi e un po’ perché ho ancora un animo romantico. Me ne sono accorto al quarto giorno di viaggio, quello tanto atteso, quando alcuni cassetti della memoria si sono riaperti. E pedalando, ho cominciato a canticchiare qualche canzone. In particolare Une Belle Histoire nella versione del quartetto jazz degli Eva sur Seine. Perché essere lì, per me, era una bella storia. Qualsiasi fosse stato il finale.
Per arrivare a Nizza ho pedalato prima bordo mare (da Sanremo a Ventimiglia) e poi su un tratto dell’antica Via Augusta fino a poco prima del confine di stato, anticamera di una soleggiata Menton. A quel punto ho scelto di percorrere una delle tre vie panoramiche della Costa Azzurra appartenente al trittico “Les Trois Corniches” (Le Tre Cornici), in particolare quella più caratteristica delle tre per bellezza, stupore e abbondanza di colori: La Grande Corniche. Questa “Strada Grande” passa sopra il Principato di Monaco e offre una vista mozzafiato prima su Montecarlo e poi sulla fantastica Villefranche-sur-Mer, piccolo borgo di pescatori. Da lì, la discesa verso Nizza fino al porto e all’inizio della Promenade des Anglais, destinazione finale del viaggio da immortalare con una foto sulla grande terrazza a semicerchio sul mare.
À bientôt petite fleur
Nizza è un piccolo fiore. Ci sono rimasto un paio di giorni per scoprirla un po’ meglio e dedicarle del tempo. Mi ha fatto sentire cittadino del mondo. Ho ritrovato una città di mare vibrante, intensa, colorata, viva e a tratti quasi magica: il mercato antico, Place Massena (la piazza principale) dove le luci della ruota panoramica si intrecciano con quelle riflesse sugli edifici colorati di varie tonalità, dal rosso al giallo. E poi il playground della Promenade Du Pallion, un immenso parco giochi diviso per aree tematiche ed età dove bambini di diversa estrazione sociale, religione e colore della pelle, giocano insieme ai pirati sull’enorme vascello in legno o a nascondino nella pancia di una grande balena. E ancora: il porto, i bistrot, i patio, i tram elettrici moderni che sembrano piccoli treni silenziosi, le note delle fisarmoniche tra i vicoli (‘O sole mio e Bella ciao le più suonate) e tanti fiori, tutti al posto giusto. Come pezzi di un unico puzzle.
C’erano tantissime persone in quei giorni, come nelle grandi città. Ma tutt’intorno si respirava un’aria diversa. Molti passeggiavano bevendo un cappuccino o chiacchierando. Altri sceglievano di rimanere seduti sulla spiaggia a guardare il mare per ore. All’apparenza senza fare nulla ma è un nulla che sa di tutto. Altri ancora, invece, sceglievano di sedersi sulle sedie color blu fronte mare. Ce ne sono molte installate sulla Promenade, una vicino all’altra, a comporre lunghe panchine fatte da tante piccole poltroncine. C’è chi legge, chi fa foto, chi ride e chi riposa lo sguardo. Perché il mare risolve sempre quello che a noi sembra impossibile.
E in tutta questa bellezza c’è scappata anche una pedalata extra, al mattino presto, nel giorno in cui potevo riposare. Mi sono spinto fino a Cannes (una settantina di km tra andata e ritorno), per salutarla da vicino mentre si stava svegliando e non perdermi l’occasione di pedalare su una delle ciclabili più belle della Francia, direttamente sul mare delle Antibes.
Il giorno dopo, per rientrare a Sanremo (da dove ho preso il treno per Milano), ho pedalato la seconda delle tre vie panoramiche della Costa Azzurra, La Corniche Inférieure, con un primo tratto impegnativo fino al centro di Villafranche-sur-Mer ma che mi ha ripagato con la vista da un balcone affacciato sul mare che valeva da sola il prezzo del biglietto. Non avrei potuto desiderare di meglio. O forse sì. Perché come si dice in queste occasioni, il viaggio più bello è quello che deve ancora arrivare. Ma questa è un’altra storia. Une Belle Histoire. Da vivere e raccontare. À bientôt petite fleur.