“Come le hanno tolto gli slip? Che pantaloni indossava? Perché non ha urlato? Perché non ha usato i denti? Perché non si è divincolata? Ha sollevato il bacino?“. Sono le frasi entrate in questi giorni nell’aula di un tribunale per un caso di violenza sessuale di gruppo, domande poste dall’avvocata di uno dei ragazzi imputati per lo stupro. Parole che sembravano dimenticate e invece ritornano – nonostante l’alta attenzione sui reati inerenti la violenza contro le donne e sui femminicidi -, scatenando l’indignazione dell’opinione pubblica.
Così facendo, infatti, si sovverte la logica del processo e la donna passa da vittima a imputata: davanti ai giudici il focus diventa capire se la vittima abbia reagito o meno e non accertare i fatti indagando il comportamento degli imputati, spiegano le avvocate delle associazioni che quotidianamente difendono le donne vittime di violenza, più di 6000 all’anno in Italia, in media 17 al giorno. “Il giudice non dovrebbe assolutamente ammettere questo tipo di domande, che sottendono quel pregiudizio sessista per cui la donna è sempre consenziente a un atto sessuale. Pregiudizi sessisti vietati da tutte le leggi sovranazionali – che devono guidare l’interpretazione delle norme nazionali – e riconosciuti dalle tante sentenze di condanna della Corte di Strasburgo come maggior ostacolo all’accesso della giustizia delle donne in Italia”, sottolinea Teresa Manente, avvocata dell’associazione Differenza Donna. La Corte europea dei diritti umani ha infatti più volte condannato l’Italia proprio per l’utilizzo di pregiudizi sessisti nei tribunali. “Il punto è capire se il Tribunale abbia saputo riconoscere pregiudizi e stereotipi e se abbia rispettato il diritto alla protezione della donna dalla vittimizzazione secondaria, nel bilanciamento con il diritto di difesa”, spiega Elena Biaggioni, avvocata penalista e vice presidente Dire, la rete dei centri antiviolenza
Il caso. Il processo in corso a Tempio Pausania, in Sardegna, vede imputati Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia. I quattro sono accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza, ora 21enne, per fatti risalenti a luglio 2019 nella casa di Porto Cervo della famiglia Grillo. Le domane si riferiscono all’interrogatorio da parte della legale di Corsiglia, Antonella Cuccureddu, alla giovane, che sta ripercorrendo i fatti quattro anni dopo il presunto stupro di gruppo. “Non mi lascio intimidire: Le domande che si faranno continueranno a riguardare i fatti di questo processo: ricordo che tutte sono state vagliate e ammesse da un tribunale del 2023″. Queste le dichiarazioni dell’avvocata dopo l’interrogatorio definito “da Medioevo” dal legale di parte civile, Dario Romano.
Pregiudizi e stereotipi. “Le domande sono lo specchio di miti dello stupro che ben conosciamo: dal riferimento a una ‘vittima ideale’ con un comportamento standard (ha urlato? Perché non è scappata) alla resistenza dovuta e astrattamente possibile: il morsetto che tanto ricorda Processo per stupro”, dichiara Biaggioni, riferendosi al documentario del 1979 sulla storia di una giovane 18 enne che aveva denunciato 4 quarantenni. Nel processo l’avvocato diceva, ridendo, che una violenza carnale può essere interrotta “con un morsetto” ( https://youtu.be/lTRqirMiYLU?si=LJidTk4kziUyqxf9). Per Manente, nei processi per stupro più che in altri processi di violenza di genere contro le donne, emergono pregiudizi e stereotipi che minano l’accertamento dei crimini denunciati e che sono la causa culturale della violenza sessista: la donna provoca, l’uomo conquista.
Da vittima a imputata. “L’ammissione di domande volte a far emergere la reazione e la resistenza o meno della donna significa spostare la responsabilità dei fatti illeciti dall’autore alla vittima”, chiarisce Manente, spiegando che “se la donna non riesce a dimostrare di aver reagito – questa la tesi dei difensori degli stupratori – vuol dire che c’era consenso, ma mi chiedo come si fa a non soccombere in una situazione di pericolo per la propria incolumità fisica e psichica”. “È da chiedersi – aggiunge Biaggioni – quale sia stato l’approccio del Tribunale e della Procura. Ovvio che la difesa utilizzi tutto quanto a disposizione per minare la credibilità della testimone, spostare l’attenzione sulla condotta della vittima è una strategia del tutto comune. La prova sul fatto che non si concentra sulla condotta dell’imputato, ma nella reazione della vittima è il primo passo del victim blaming, la colpevolizzazione della vittima”.
La giurisprudenza. La giurisprudenza di Cassazione afferma che in tema di violenza di genere e domestica, le dichiarazioni della persona offesa possono da sole essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, previa verifica, con idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto. “Ma ciò è possibile solo quando i giudici sanno accertare i fatti senza minimizzarli o giustificarli e senza mettere sullo stesso piano autore della violenza e vittima”, precisa Manente, sottolineando che la Cassazione ha più volte ribadito che nei reati di violenza sessuale è necessario tenere conto del contesto in cui si verificano quei crimini. Di conseguenza, nei casi di stupro di gruppo bisogna considerare l’oggettiva minorata difesa della donna, derivante dal numero degli aggressori. Quasi sempre le donne che subiscono stupro si paralizzano o non reagiscono, poiché hanno paura di subire violenze ancora più gravi o di essere uccise. Sono più di 10 anni che la corte di Cassazione è orientata in maniera univoca a ritenere che il giudice in materia di violenza contro le donne debba valutare e indagare il movente e cioè la volontà dell’uomo di controllare ed esercitare potere sulla donna, a prescindere dalla modalità della reazione della donna.
La lunghezza del processo. “Dopo 4 anni dal fatto il processo è ancora alla testimonianza della persona offesa? Non certo un esempio di celerità del processo”, spiega Biaggioni. In Italia non ci sono dati recenti su lunghezza dei processi e condanne o assoluzioni. L’ultimo dato riguarda la relazione del 2018 della Commissione femminicidio. Secondo lo studio, le indagini venivano concluse in larga parte entro un anno, l’89% delle sentenze diventavano definitive entro tre anni, un quarto delle denunce veniva archiviato e le assoluzioni per i violenti variavano da regione a regione: dal 12% di Trento al 43,8% di Caltanissetta. Come riporta l’inchiesta del Sole 24 Ore del 25 novembre, in Italia nel 2020–2022 nei procedimenti penali nei tribunali ordinari definiti nella fase di Gip e Gup per i reati di violenza sessuale la percentuale di archiviazioni è stabile e pari in media al 45%, nei maltrattamenti in famiglia è di oltre il 60%. In merito alle sentenze definite in primo grado, le assoluzioni per i reati di maltrattamenti e violenza sessuale sono superiori a un terzo del totale, mentre le condanne, inclusi i patteggiamenti, oscillano in media tra il 49% e il 57 per cento.
Le domande inammissibili. L’interrogatorio del caso Grillo riporta alla memoria il caso delle due studentesse americane, che nel settembre 2017 denunciarono di essere state violentate da due carabinieri a Firenze. Gli imputati ammisero il rapporto sessuale, ritenendolo consensuale. Gli avvocati difensori prepararono 250 domande per ciascuna ragazza, alcune delle quali vennero censurate dal giudice perché ritenute degradanti e lesive della dignità delle donne. “Non torno indietro di 50 anni”, disse il giudice. Ecco alcune delle domande, dichiarate inammissibili: “Lei trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa? Indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima? Lei ha bevuto dopo che i carabinieri sono andati via? Quando era in discoteca ha dato una o due carezze a un carabiniere?”.
La condanna della Cedu, il caso Fortezza da basso. “Atteggiamenti disinvolti e provocatori, aveva ballato strisciandosi con alcuni di loro e aveva mostrato gli slip rossi mentre cavalcava il toro meccanico. Non può che dedursi che tutti avevano mal interpretato la sua disponibilità precedente, orientandola a un rapporto di gruppo che non aveva soddisfatto nessuno, nemmeno coloro che nell’impresa si erano cimentati”. Sono solo alcune delle farsi riportate nella sentenza dei giudici della Corte d’Appello di Firenze, che nel 2015, rovesciando completamente la condanna in primo grado, assolsero sei ragazzi imputati per violenza sessuale di gruppo ai danni di una 22enne a luglio 2008 fuori dalla Fortezza da Basso, a Firenze. Il 27 maggio 2021 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò l’Italia per la violazione dei diritti di una “presunta vittima di stupro” con una sentenza che contiene “dei passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima”, “commenti ingiustificati” e un “linguaggio e argomenti tali da esporre le donne a una vittimizzazione secondaria, utilizzando osservazioni colpevolizzanti e moralizzatrici volte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia”.
Ora, per la ragazza vittima del presunto stupro di gruppo da parte di Grillo, Capitta, Lauria e Corsiglia il processo va avanti. Ci sono altre due udienze fissate tra gennaio e febbraio.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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