Si chiama Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica il rapporto realizzato da WeWorld, per Fondazione Cariplo e Ispos. Lo studio illumina una delle forme più feroci di violenza contro le donne e al contempo certamente una delle più frequenti; ha poi il pregio di restituirci, con chiarezza, quale sia la percezione di questa forma di abuso.
Il sondaggio
Il sondaggio di opinione, condotto a settembre 2023, ha esaminato un campione di 1.200 individui (di cui 209 sono donne separate o divorziate) ed è stato eseguito online tramite la modalità CAWI (l’acronimo sta per Computer Assisted Web Interview).
“Una delle definizioni più riportate nella letteratura – si legge nel rapporto – identifica la violenza economica con tutti i comportamenti volti a controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche”.
Si tratta di una fattispecie che di solito costituisce un segmento di un ben più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare (fisica, psicologica, sessuale, ecc.) e che in passato era derubricata a forma di abuso emotivo o psicologico, piuttosto che riconosciuta come un tipo distinto di violenza.
Il progetto isola tre ipotesi: il controllo economico (quello in cui l’autore della violenza impedisce, limita o controlla l’uso delle risorse economiche e finanziarie della vittima e il suo potere decisionale), lo sfruttamento economico (in cui l’autore della violenza usa le risorse economiche e finanziarie della vittima a suo vantaggio) e il sabotaggio economico (l’autore della violenza impedisce alla vittima di cercare, ottenere o mantenere un lavoro e/o un percorso di studi).
E dal report viene fuori ciò di cui facciamo esperienza frequentemente: la violenza non dipende dalla prossimità, ma si acuisce anzi con la rottura della relazione. Quello che il progetto di WeWorld fotografa è in fondo l’orizzonte temporale della violenza economica e riferisce di effetti che si estendono al medio e al lungo periodo: è incontestabile che le condotte si inaspriscano proprio al termine di una relazione, nei casi di separazione o divorzio gli esempi non si contano.
Vittimizzazione giudiziaria e abuso economico post-separazione
Nelle aule di tribunale alla ri-vittimizzazione si aggiungono metodi di abuso economico post-separazione che includono condotte quali il danneggiamento o l’appropriazione da parte dell’uomo delle proprietà o degli effetti personali della vittima, l’ostruzionismo nel suo percorso professionale o di studio, come pure far mancare il mantenimento per i figli, o pagarlo in ritardo, o solo in parte, manipolarne l’importo, rifiutarsi di pagare perfino gli alimenti, eludendo gli ordini del giudice: un agito questo che ogni avvocata e avvocato ha visto ripetersi in molte occasioni, come una ripicca o una rappresaglia.
La ruota di Glinski su potere economico e controllo post separazione
Nel 2021 è stata elaborata, a partire dal modello di Sharp, la ruota del potere economico e del controllo post-separazione: si aggiungono a minacce, intimidazione e strumentalizzazione dei figli/e, anche lo sfruttamento dei processi giudiziari e la manipolazione di istituzioni e banche.
Ma il quadro lo conosciamo, bene, tutte: “La violenza economica si caratterizza per la sua profonda dimensione di genere, poiché le donne hanno maggiori probabilità
di subirla e poiché sono proprio quei sistemi economici e sociali basati sul controllo maschile a favorirla. Gli effetti dell’abuso economico possono acquisire un peso maggiore e cumulativo quando questo è rivolto a persone soggette a forme multiple di discriminazione (donne dal background migratorio, appartenenti a minoranze, con disabilità, anziane, ecc.).
Non è una questione solo italiana: nel Regno Unito il 13% delle vittime di violenza economica non ha più una casa, a causa dell’abuso.
Dato eloquente è poi quello sull’incidenza, le donne in relazioni eterosessuali sono le principali vittime della violenza economica:
“povertà, disabilità e appartenenza a gruppi sociali svantaggiati e marginalizzati rendono più difficile per le vittime raggiungere l’indipendenza economica e, pertanto, le rendono più vulnerabili ad abusi economici”.
L’emancipazione femminile come elemento “di disturbo”. Violenza economica e femminicidio
“L’abuso economico è stato collegato a un aumento del rischio di femminicidio“. Ed è l’impossibilità per le vittime di allontanarsi dal partner violento per mancanza di risorse economiche ad esporle al rischio di ulteriori abusi.
“È stato dimostrato che questo rischio è maggiore tra le donne con uno status economico più elevato rispetto agli uomini e nelle società in cui le donne hanno iniziato a entrare nel mondo del lavoro, poiché l’emancipazione femminile interviene come elemento “di disturbo” nel contesto di controllo coercitivo instaurato
dal partner violento (ibid.). Il rischio di subire abusi risulta particolarmente concreto quando le vittime riescono ad allontanarsi dal partner violento, specie quando iniziano a muovere i primi passi verso una maggiore autonomia (Howard, 2019)”.
L’abuso sulle donne con disabilità
E poi ci sono le vittime più vulnerabili:
“Le donne con disabilità vivono esperienze peculiari di violenza in cui l’autore del reato, oltre a muoversi in un contesto di controllo coercitivo, approfitta della condizione di maggiore vulnerabilità della vittima”.
Il sondaggio ha rilevato comportamenti quali l’approccio con la vittima, finalizzato ad accedere ai contributi per il sostegno a persone con disabilità; il controllo dell’accesso alle prestazioni di invalidità (limitando ad esempio il denaro necessario per i farmaci o altri beni necessari); la sottrazione alla vittima degli ausili per la mobilità (così da impedirle ogni spostamento e autonomia).
Il sondaggio dice anche molto di più. Dallo studio viene fuori ad esempio che tra i paesi dell’UE il 12% delle donne europee ha subito abusi che includevano violenza economica a partire dai 13 anni di età; che 2,7 miliardi di donne vivono in Paesi che legalmente impediscono loro di scegliere tra le stesse opportunità di lavoro degli uomini; che tra le donne con figli/e sotto i 6 anni solo poco più di 1 su 2 lavora, per gli uomini invece il rapporto è di più di 9 su 10.
Le testimonianze e le raccomandazioni
Il rapporto contiene inoltre una sezione interamente dedicata al programma Spazio Donna attraverdo il quale WeWorld, dal 2014, coinvolge le donne prese in carico dai centri antiviolenza in percorsi di emancipazione, aggregazione, autodeterminazione, empowerment.
E in chiusura rassegna le conclusioni. Sono vere e proprie Raccomandazioni:
Prevenire (attraverso l’introduzione a partire dalla scuola dell’infanzia di curricula obbligatori di educazione sessuo-affettiva, come di quelli di educazione economico-finanziaria, o la promozione di campagne di sensibilizzazione multicanale rivolte all’intera popolazione che individuino il fenomeno e le sue specificità); Riconoscere e Monitorare (attraverso l’adozione di una definizione condivisa di violenza economica che ne specifichi i comportamenti o la raccolta e il monitoraggio di dati disaggregati sul fenomeno della violenza economica e su altri reati spia); Intervenire (favorendo maggiori e strutturali finanziamenti al reddito di libertà integrati a più solide e inclusive
politiche abitative e del lavoro, ma anche supportare la rete antiviolenza e il suo radicamento sui territori).
La violenza contro le donne non è più un’emergenza: urlare all’inasprimento delle pene non serve
Sappiamo che la violenza contro le donne è tutto fuorché un’emergenza e che affrontarla con un piglio securitario è inutile. Sappiamo, invece, che è questione strutturale e per averne conferma basta spostare il focus sul contesto: quanto pesa il costo della violenza domestica? Prima di rispondere richiamiamo per un momento un documento licenziato dalla prima Commissione d’Inchiesta sul fenomeno, per poterne ricavare un’idea precisa:
“stimato per difetto quasi dieci anni fa, era di 16.719.540.330 euro, a fronte di una spesa per interventi di prevenzione e contrasto pari a soli 6.323.028 euro“.
In percentuale PIL nominale (1.618.904 milioni di euro correnti nel 2013) siamo ben sopra l’1 per cento, toccando picchi che superano gli investimenti fissi lordi nazionali sul trasporto (auto, navi, aerei, treni), come pure gli acquisti degli italiani all’estero. E quei costi sono stimati per difetto.
Una volta capito che la questione è anche di tipo materiale; accertato e compreso che la violenza economica è violenza di genere e intersezionale; appurato che investire in prevenzione anziché in repressione sarebbe pure un buon affare, le cose stanno tuttavia ancora pressappoco come dieci anni fa. Cosa ci serve per invertire la rotta? Se non ora, quando?
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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