“Non c’è bambino senza talento, tutto dipende dall’educazione” (Schinichi Suzuki)
La musica è già dentro di noi, è una questione neuronale. Da uno studio condotto dal San Raffaele di Milano su 18 bambini di 3 giorni di vita, che si è avvalso della risonanza magnetica funzionale (fMRI) per studiare le reazioni durante l’ascolto di musica, sono emersi risultati interessanti.
Ai bambini sono stati fatti ascoltare dei brani musicali e si è notata un’attivazione dell’emisfero destro, come accade negli adulti. Sono stati poi alterati i brani, alzando o abbassando toni (modifiche che normalmente un orecchio più allenato riesce a riconoscere) e si è registrata un’attivazione dell’altra parte dell’emisfero. Cosa significa? Non solo che il cervello del bambino, fin dai primi giorni di vita, reagisce agli stimoli musicali, ma ha già una capacità sofisticata nel riconoscerne le variazioni.
La prima forma di musica per un bimbo è la sua mamma
Perché allora non coltivare questa innata predisposizione anche negli anni avvenire? Qui entra in gioco l’educazione musicale su tanti livelli diversi, negli asili, nelle scuole ma anche nelle famiglie, perché sì, i primi stimoli arrivano proprio dai genitori, fin da subito dalla mamma.
Cosa sono il ritmo del battito cardiaco e del respiro, la voce, i suoni della quotidianità che il feto ascolta, se non musica? Già dal sesto-settimo mese di vita intrauterina vi è percezione musicale, quando il feto inizia a stabilire un contatto con il mondo esterno. Non a caso alla nascita, il neonato è in grado di riconoscere la voce della mamma, dimostrando di preferirla ad altre voci, ma sa anche riconoscere le melodie che gli venivano cantate in gravidanza.
I benefici della musica
Per questo la musica e il ritmo riescono a comunicare in modo istintivo, non c’è bisogno di cultura musicale per lasciarsi rapire da una melodia. Quante volte ci capita di vedere bambini iniziare a muoversi, a ballare istintivamente all’ascolto della musica? Muovono le braccia, le manine, le gambe, molleggiano, si dondolano, seguono la musica e sorridono. Stanno bene. La musica stimola le emozioni e le fa vibrare. Emozioni che attraverso il corpo, la voce e gli strumenti musicali, trovano amplificazione ed interpretazione.
La musica, però, non si limita a far “risuonare” il cervello, ma contribuisce anche a svilupparne la struttura e a modificarne il funzionamento nel corso dell’infanzia.
In uno studio effettuato al Max-Planck Institute di Lipsia, sono stati paragonati i cervelli di due gruppi di bambini tra i 9 e gli 11 anni, il primo dei quali aveva praticato la musica per 3-4 anni, mentre il secondo non aveva avuto nessuna esperienza musicale.
Attraverso una serie di complesse misurazioni dello spessore e dell’estensione della sostanza grigia della corteccia cerebrale (la parte più esterna del cervello), è emerso che nei bambini che avevano fatto pratica musicale, la sostanza grigia, che contiene i neuroni, era più voluminosa. Questo non si riflette solo sull’abilità musicale, ma anche su altre attività cognitive, come l’apprendimento delle lingue, la ricchezza del vocabolario e le capacità aritmetico-matematiche.
In sostanza la musica coinvolge l’intero cervello dal punto di vista emotivo e cognitivo.
Una passione, tanti approcci
La musica come linguaggio è alla base di diversi approcci, come ad esempio il metodo Suzuki, che prende il nome dal violinista giapponese Schinichi Suzuki, che credeva in un’innata abilità del bambino di imparare la propria madre lingua attraverso l’ascolto, la ripetizione, la memorizzazione e la costruzione del vocabolario. Come, infatti, un bambino assimila la parola ascoltando e ripetendo continuamente le parole dette dai genitori, così impara a suonare ascoltando e ripetendo continuamente un frammento, una melodia che gli stessi genitori, guidati dall’insegnante, gli proporranno nel corso della giornata affinché gli risulti conosciuto.
Parte dallo stesso presupposto “linguistico” anche la Music Learning Theory di Edwin Gordon, secondo cui, ogni bambino ha la potenzialità di apprendere la musica, come fosse un linguaggio. Attitudine massima al momento della nascita ed in grado di mantenersi e svilupparsi in un ambiente capace di far vivere al bambino esperienze musicali significative.
Forse meno diffuso in Italia, ma ben conosciuto in Europa e nel resto del mondo, è il metodo Kodaly, per cui il canto è il mezzo ideale che permette la conoscenza e l’apprezzamento della musica. La voce ed il corpo sono considerati dispositivi naturali. Il suo grande merito, fu quello di sviluppare un metodo educativo musicale, nuovo e ben strutturato, nelle istituzioni scolastiche a tutti i livelli, dalla scuola materna agli studi universitari.
Ma ci si può esprimere anche attraverso il movimento, considerato dal metodo Dalcroze, al centro dell’esperienza musicale. Il ritmo è movimento e il perfezionamento dei movimenti nello spazio, porta il bambino a sperimentare il ritmo musicale. Gli studi musicali devono, di conseguenza, iniziare proprio da esperienze motorie.
E se Maria Montessori è conosciuta per l’innovazione apportata nel campo dell’educazione infantile tout court, forse è meno conosciuta per l’attenzione che riservava anche alla musica. All’interno del suo metodo, infatti, dava grande rilevanza alla sensibilità acustica, utilizzando esercizi come la “lezione del silenzio“, dove il bambino ascolta e riconosce suoni e rumori che lo circondano. Uno dei più importanti modelli del suo metodo, in riferimento all’uso dei sensi, è l’impiego di una serie di campane che riproducono toni e semitoni compresi in un’ottava, diverse di suono ma uguali in dimensione, forme e materiale.
Coltiviamo la sperimentazione
Bene, ma come posso stimolare la cultura musicale nei miei figli? Da dove parto, come mi oriento? Ci sono tanti approcci diversi, è vero, ma il fil rouge che sembra metterli tutti d’accordo è la varietà, l’eterogeneità dei generi e l’importanza di vivere la musica anche in gruppo, perché stimola le interazioni con gli altri e la socializzazione.
Creare dei momenti di routine musicale in cui alternare brani di generi diversi, dal rock, all’indie, alla musica classica, pop, jazz, etnica e via dicendo, aiuta il bambino a conoscere diversi mondi, diverse musicalità e a capire pian piano quale preferisce. Perché in fondo i bambini hanno e sviluppano dei propri gusti musicali, sicuramente in parte condizionati da ciò che sono soliti ascoltare (i genitori, soprattutto), ma non solo. Mia figlia ad esempio è cresciuta a latte e rock, eppure abbiamo notato che nel momento in cui sente della musica classica, si immobilizza e resta in ascolto, totalmente rapita.
Lasciamo la possibilità ai più piccoli di avere accesso al mondo della musica nella sua meravigliosa eterogeneità, in fondo potrebbe essere un’occasione anche per noi grandi di aprirci a generi diversi che non siamo soliti ascoltare.
Lasciamo la scelta ai bambini di avvicinarsi come preferiscono alla musica o agli strumenti, se vorranno, senza imposizioni o condizionamenti.
Lasciamo che sia un’altra possibile forma di espressione e benessere.
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