Prevenire la violenza maschile sulle donne si può? Il nostro sistema giuridico ha gli anticorpi sufficienti? Quali provvedimenti e misure occorre potenziare? Secondo Raffaello Falcone, procuratore aggiunto della Procura di Napoli, occorre innanzitutto partire dalla forma di prevenzione principale, ovvero “la necessità di sradicare i presupposti culturali, i ruoli di genere e gli stereotipi familiari” che sono causa della violenza. Analizzando la risposta giudiziaria occorrerebbe “un adeguato corredo di indagini” che “può consentire al giudice di affermare la responsabilità dell’autore del fatto pure a fronte di ritrattazioni”. È inoltre auspicabile, spiega ad Alley Oop, una più stretta collaborazione tra giudizio civile e giudizio penale, la videoregistrazione dell’ascolto della vittima vulnerabile, un maggiore ricorso al braccialetto elettronico. Inoltre Falcone cita il caso del protocollo siglato tra la procura della Repubblica di Napoli e il comando provinciale dei carabinieri di Napoli, il progetto “Mobile Angel” che prevede la consegna alle vittime di violenza di genere che abbiano preventivamente prestato il proprio consenso, di uno smart watch dotato di un sensore di movimento e di un tasto di allarme che, in caso di pericolo, invia la richiesta di intervento ai carabinieri.
Nella sua esperienza quali sono le misure per la prevenzione delle violenza? Ci sono degli aspetti da potenziare?
Le principali misure di prevenzione della violenza di genere attengono alla necessità di sradicare i presupposti culturali, i ruoli di genere e gli stereotipi familiari, che ne costituiscono la causa. Prevenire la violenza si può, attraverso politiche orientate all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della parità di genere, innanzitutto. Si tratta di un fenomeno sociale, trasversale per età e condizioni sociali, molto complesso anche dal punto di vista emotivo e psicologico della donna che subisce, per lo più all’interno del nucleo familiare, violenze fisiche e morali, episodiche o continuate, ma che egualmente rappresentano un dramma che coinvolge e riguarda non solo la vittima e, talvolta, i suoi figli, ma anche le istituzioni e la società.
Inoltre, la recrudescenza drammatica dei fenomeni delittuosi di violenza domestica e di genere evidenzia come l’efficace tutela delle vittime richieda la tempestività dell’intervento giudiziario e, ancor prima, la capacità di cogliere gli indicatori della violenza da parte dell’Autorità Giudiziaria. La magistratura, in altre parole, sia requirente che giudicante, deve prestare un’attenzione prioritaria al rischio che le violenze subite dalle vittime si ripetano nel tempo o degenerino. Pertanto, si è sottolineata l’esigenza di un approccio investigativo che, per evitare sovraesposizioni, sottragga alla prova dichiarativa della parte offesa la posizione di centralità probatoria, anche per fronteggiare i tassi di ritrattazione e ridimensionamento dei fatti che talvolta intervengono nel corso delle indagini o del processo. Un adeguato corredo di indagini può consentire al giudice di affermare la responsabilità dell’autore del fatto pure a fronte di ritrattazioni: ad esempio, la videoregistrazione dell’ascolto della vittima vulnerabile potrebbe essere di grande utilità quantomeno ai fini della richiesta di applicazione di misura cautelare, così come l’assunzione della prova dichiarativa nel corso dell’incidente probatorio, che avrà valore probatorio anche nella fase dibattimentale. Riconoscere sempre maggiore centralità al giudice civile che dispone di strumenti immediati di intervento quali, ad esempio, gli ordini di protezione, rispetto ai quali l’Autorità giudiziaria penale può svolgere un importante ruolo propulsivo, nell’ottica di una più stretta cooperazione tra giudice civile e giudice penale.
Le misure amministrative, l’ammonimento del questore e l’ingiunzione trattamentale hanno dato buoni risultati, possono essere d’aiuto a fermare la violenza prima che si arrivi nel campo del processo penale?
Le misure amministrative sono forme di tutela preventiva che, in qualche caso, possono essere di per sé sufficienti a far desistere l’autore di violenza. D’altra parte, se gli atteggiamenti persecutori non dovessero cessare, si procede d’ufficio nei confronti dello stalker. Quando il decreto di ammonimento contiene l’ingiunzione trattamentale che obbliga il soggetto ammonito a intraprendere un percorso di recupero, diviene fondamentale il ruolo delle strutture territoriali che si occupano del recupero del soggetto maltrattante, recupero che è al tempo stesso opportunità e strumento di prevenzione della reiterazione delle condotte.
In campo penale, invece, quali misure cautelari occorrerebbe potenziare?
Le misure cautelari generalmente applicate come l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e, nei casi più gravi, gli arresti domiciliari, non sempre riescono ad impedire la reiterazione delle condotte violente, trattandosi spesso di soggetti refrattari all’osservanza delle prescrizioni, talvolta dipendenti da alcol o sostanze stupefacenti: in questi casi l’unica misura idonea a proteggere le vittime è la custodia cautelare in carcere la cui adozione rappresenta, ad oggi, l’extrema ratio. In tale ottica è auspicabile, nel disporre la misura degli arresti domiciliari, un maggiore ricorso al braccialetto elettronico, normativamente previsto, da applicarsi anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere. Il limite di questa misura è rappresentato dalla necessità che il soggetto maltrattante consenta all’applicazione.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi di introdurre un braccialetto elettronico per la vittima?
Nel caso venisse prevista, invece, l’applicazione di un braccialetto elettronico alla vittima, si potrebbe senz’altro contare sull’assenza di resistenze da parte di quest’ultima e nel contempo garantire un’effettiva prevenzione del rischio, consentendo il tempestivo intervento delle forze dell’ordine. In questa direzione è stato utilmente attivato, con protocollo siglato tra la procura della Repubblica di Napoli e il comando provinciale dei carabinieri di Napoli, il progetto “Mobile Angel” che prevede la consegna alle vittime di violenza di genere che abbiano preventivamente prestato il proprio consenso, di uno smart watch dotato di un sensore di movimento e di un tasto di allarme che, in caso di pericolo, invia la richiesta di intervento alla Centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli la quale dispone l’immediato intervento.
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