Sono oltre 800 milioni nel mondo le persone malnutrite

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Guerre, cambiamenti climatici, l’impatto economico della pandemia. Sono queste le crisi globali che pesano e continueranno a pesare sull’emergenza della fame nel mondo, con conseguenze non del tutto prevedibili. Nel 2021 il numero di persone malnutrite è salito a 828 milioni, 46 milioni in più rispetto all’anno precedente e 150 milioni in più rispetto a prima della pandemia di Covid-19, con effetti evidenti in Africa subsahariana, Asia meridionale, America centrale e Sudamerica.

L’indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI) rappresenta uno dei principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, è curato da CESVI per l’edizione italiana ed è redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, due organizzazioni umanitarie che, insieme a CESVI, fanno parte del network europeo Alliance2015. L’analisi ha preso in considerazione 121 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio GHI sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.

Secondo i punteggi e le designazioni provvisorie del GHI 2022, in 9 Paesi la fame è di categoria allarmante e in 35 grave. I Paesi con punteggi 2022 di livello allarmante sono 5 – Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen – mentre altri 4 sono provvisoriamente classificati come tali nonostante non ci siano dati sufficienti per calcolarne i punteggi di GHI: Burundi, Somalia, Sud Sudan e Siria.

L’Indice Globale della Fame (GHI) 2022 quest’anno ha misurato a livello mondiale un valore di 18,2 – moderato (17,9 nel 2021). Il dato si mostra in leggero calo rispetto a 19,1 del 2014, ma anche in rallentamento rispetto al passato: il punteggio nel 2000 era 28, nel 2007 era 24,3. L’indicatore di maggiore impatto è rappresentato dalla denutrizione, dato che mostra un’inversione di tendenza dopo oltre un decennio di progressi. In continuità con il passato, si rileva che 46 Paesi non raggiungeranno entro il 2030 un livello di fame basso e che anche più in generale il dato mondiale non sarà più positivo. Attualmente sono 44 le nazioni con livelli di fame gravi o allarmanti e, tra quelle con fame di categoria moderata, grave o allarmante, 20 hanno punteggi GHI più alti di quelli del 2014.

«La situazione è in ulteriore peggioramento: le ultime stime di FAO-WFP prevedono che 45 milioni di persone in 37 nazioni nel gennaio 2023 avranno così poco cibo da essere gravemente malnutrite e rischiare la morte», ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione CESVI. «È inaccettabile – ha aggiunto – ed è necessario intervenire subito per invertire questa drammatica rotta».

Rispetto al 2014 la fame è aumentata in 20 Paesi di varie regioni del mondo, raggiungendo un livello moderato, grave o allarmante. L’incremento più deciso è del Venezuela, dove la fame è passata da 8,1 punti (bassa) del 2014 a 19,9 nel 2022 (tra moderata e grave). Secondo le conclusioni del GHI 2022, in 9 Paesi la fame è ora allarmante (tra cui Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen) e in 35 grave.

In Etiopia, Somalia e Kenya, una delle peggiori siccità degli ultimi quarant’anni sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone: 18,4 milioni di abitanti nel giugno di quest’anno vivevano una grave insicurezza alimentare (UN OCHA 2022). In particolare, in Somalia, si prevede che, entro la fine dell’anno, 1,5 milioni di bambini (il 45% del totale) soffriranno la malnutrizione acuta, di cui 386.400 di tipo grave, e che, entro settembre, 2,1 milioni di abitanti si troveranno in stato di emergenza alimentare e 213.000 in stato di carestia.

Il Paese con il punteggio GHI peggiore è lo Yemen con 45,1 (allarmante), a causa del conflitto interno iniziato nel 2015 e delle conseguenze della guerra in Ucraina, tra cui le difficoltà di approvvigionamento alimentare. Segue la Repubblica Centrafricana con 44 (allarmante), dove il 52,2% della popolazione è denutrito, dato più alto del mondo per il 2022, e la mortalità infantile è al 10,3%. Si registra indice 38,7 (allarmante) in Madagascar, dove, nel biennio 2019-2021, il 48,5% della popolazione era denutrito e nel 2021 il tasso di arresto della crescita infantile riguardava il 39,8%, con il 5% di mortalità sotto i 5 anni.

Ad aggravare il quadro incidono le conseguenze di cambiamenti climatici, guerre e pandemia. Il cambiamento climatico causato dalle attività antropiche sta provocando eventi metereologici estremi sempre più frequenti e intensi, riducendo la disponibilità di cibo e acqua. Negli ultimi mesi si sono susseguiti forti alluvioni in Pakistan che hanno sommerso un terzo del Paese e ucciso almeno 1.300 persone, un supertifone in Giappone che ha costretto 9 milioni di persone a evacuare le loro case, un’anomala ondata di caldo che in Cina, Europa e Usa ha prosciugato i fiumi e provocato incendi boschivi. Secondo le proiezioni, i cambiamenti climatici rappresenteranno l’ostacolo chiave al raggiungimento dell’obiettivo 2 dei Sustainable Development Goals, finalizzato a porre fine alla fame nel mondo entro il 2030.

Anche i conflitti armati, che ugualmente contribuiscono all’insicurezza alimentare, sono aumentati. Su 193 milioni di persone esposte a conflitti, 139 milioni hanno vissuto condizioni di insicurezza alimentare (FSIN e GNAFC 2022). Ai conflitti in corso, molti dei quali complessi, prolungati e spesso trascurati dall’occidente, si aggiunge quello in Ucraina, caratterizzato da un forte impatto su forniture alimentari e prezzi, oltre che da un forte legame tra guerra e fame.

Gli aumenti straordinari dei prezzi del cibo, causati anche dall’inadeguatezza dei sistemi alimentari sul contrasto alla fame (+13% da febbraio a marzo 2022 e +33% da marzo 2021 – FAO 2022b), gravano soprattutto sulle famiglie povere e possono innescare ulteriori disordini e guerre, alimentando il ciclo di fame e conflitti.

«Stiamo vivendo la terza crisi globale dei prezzi alimentari in 15 anni, e ciò dimostra che la trasformazione dei nostri sistemi alimentari, oggi, è più che mai urgente. Per porre fine alla fame e all’insicurezza alimentare in modo duraturo, il processo di trasformazione dei sistemi alimentari deve mettere al centro le comunità locali. Numerosi esempi nel mondo dimostrano che una leadership locale è capace di sollecitare adeguatamente chi deve prendere le decisioni ad assumersi la responsabilità della lotta alla fame e all’insicurezza alimentare, non solo nei contesti democraticamente più stabili, ma anche in quelli fragili» afferma Valeria Emmi, Networking and Advocacy Senior Specialist di CESVI.

«E proprio nei contesti fragili o estremamente fragili – continua Emmi –, in un’epoca di crisi crescenti e protratte, servono maggiori risorse per rispondere ai bisogni umanitari più urgenti e per rendere i nostri sistemi alimentari capaci di adattarsi e superare gli shock».

Anche la pandemia di Covid-19, insieme alla recessione economica, ha inciso sull’aumento dei prezzi nei Paesi a basso e medio reddito. Si stima che nel 2021 le persone in povertà estrema siano state 85 milioni in più rispetto al periodo pre-pandemia, mentre in 17 Paesi a basso e medio reddito sono calate qualità e quantità del cibo a disposizione.

«Il 2021 è stato segnato da un peggioramento a livello globale di crisi sanitarie, economiche, sociali e ambientali. In questo contesto senza precedenti, CESVI è intervenuta in 22 Paesi in 4 continenti, con 113 progetti di emergenza e sviluppo per rispondere alle crisi emergenti e protratte che hanno coinvolto direttamente oltre 2,3 milioni di persone tra adulti e bambini», conclude Zavatta.

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