«Siamo arrabbiate, moltissimo. Ma non è solo una questione femminile, per quanto le donne siano le vere artefici di questa rivoluzione. Siamo arrabbiati tutti noi iraniani, per due ragioni: la condizione economica in Iran è sempre più disastrosa e le limitazioni imposte fino a oggi non sono più accettabili, soprattutto per i giovani».
Parla così Laleh – pseudonimo usato su richiesta dell’intervistata: «ci sono troppe spie, anche in Italia, non posso rivelare la mia identità», confida -, 33 anni, architetta, da 14 nel nostro Paese. Lei, con molte altre sue coetanee, è scesa in piazza per sostenere le proteste che infiammano la sua terra nelle ultime settimane, ovvero da quando è stata uccisa Mahsa Amini, la ragazza arrestata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato l’hijab secondo quanto prescrive la legge del Paese. Proteste che hanno fatto il giro del mondo, trovando sostegno ovunque al grido di “Donne, vita, libertà”.
«Il governo è sempre più violento. I militari pattugliano le scuole, ovunque si respira un clima di oppressione. Le persone sono stanche, molto stanche, e hanno risposto a loro volta con violenza. In alcune città particolarmente religiose, gli imam hanno paura di mostrarsi in pubblico con l’abito e preferiscono camuffarsi per non essere attaccati» – racconta. «Una mia amica è tornata poco fa dall’Iran e mi ha raccontato di essere stata vittima dei lacrimogeni per strada. Moltissime ragazze sono state arrestate e picchiate. Scusa…». Laleh esita. Piange. Il bilancio delle proteste continua a salire: 244 morti e a 12.516 arresti, secondo quanto denunciato dal Collettivo iraniano per i diritti umani Hrana.
«Mi fa male parlare così di un Paese che amo. Sono fiera di essere iraniana. Ma questo non è l’Iran. Questa è la dittatura. Un governo che ci sta togliendo ogni cosa. E attenzione: tutti possono essere merce di scambio in questo momento». Il pensiero vola subito ad Alessia Piperno, la viaggiatrice italiana arrestata mentre visitava il Paese, in attesa di ricevere il visto per potersi spostare in Pakistan. «In questa situazione, bisogna essere molto attenti. Tempo fa non sarebbe successo. Per liberare Alessia, molto probabilmente il governo italiano dovrà dare qualcosa in cambio».
In questa situazione, precisa Laleh, ogni aiuto conta. Soprattutto quello della stampa: «I giornalisti hanno una grande responsabilità per far sì che questa situazione non porti a una recrudescenza dell’islamofobia. Bisogna descrivere con coraggio e con onestà ciò che sta accadendo: si ha paura, quando non si conosce. Facciamoci conoscere per ciò che siamo. Aiutateci a far sentire la nostra voce».
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