“Se si perdono i ragazzi difficili, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.
Con queste parole Don Milani voleva mettere in risalto uno dei valori fondanti della scuola: l’equità. E proprio in base a questo principio inviolabile, operava nella convinzione di dover fare di più per coloro che avevano di meno, essendo convinto del fatto che l’equità non si esplicita dando a tutti le stesse cose, ma cercando di modulare le opportunità osservando i ragazzi e comprendendo le loro richieste implicite.
Oggi a che punto siamo? La scuola è diventata il gancio sociale? Quell’appiglio, quell’isola che ristora, che salva, che rinfranca?
Prova a rispondere a queste domande Save The Children, con il lancio del rapporto “Alla ricerca del tempo perduto”, in cui analizza alcune cause del fenomeno della dispersione scolastica. Possiamo riferirci alla dispersione come alla mancata, incompleta o irregolare fruizione dei servizi di istruzione da parte dei giovani in età scolare. Un complesso e sfaccettato fenomeno che ha cause ed effetti anche lontani nel tempo e difficilmente misurabili nella loro interezza. La dispersione può avvenire in diversi livelli del percorso formativo e può consistere nell’abbandono totale degli studi, nell’uscita precoce dal sistema formativo obbligatorio, nell’assenteismo reiterato, nella frequenza irregolare o, addirittura nella frequenza passiva e nell’accumulo di lacune che inficiano le prospettive di crescita culturale, professionale e sociale.
Un indicatore utile a dare la misura della dispersione scolastica, riconosciuto a livello internazionale, è l’abbandono scolastico precoce. In particolare, l’indicatore ELET (Early leavers from education and training) consiste nella percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno completato al massimo la scuola media e che non sono coinvolti in percorsi formativi di livello superiore nelle quattro settimane precedenti l’indagine. In altre parole, giovani che nella migliore delle ipotesi hanno ottenuto la licenza media e che non frequentano – o hanno smesso di frequentare – le superiori.
Le diseguaglianze territoriali nel nostro Paese costituiscono un filo rosso in negativo, secondo il rapporto presentato da Save the Children: nonostante una consistente riduzione avvenuta nell’ultimo anno in particolare in Puglia, con un -4,3%, e in Calabria con -3,8%, nelle regioni meridionali infatti, permangono percentuali di ‘dispersi’ alla fine del percorso di istruzione più elevate rispetto alla media nazionale, con una punta del 19,8% in Campania.
Il rapporto “Alla ricerca del tempo perduto”, analizza anche alcuni indicatori “strutturali” inerenti la scuola, come la presenza di mensa scolastica e tempo pieno, palestra e certificato di agibilità, mettendo in luce la correlazione positiva tra la qualità dell’offerta in termini di strutture e tempo scuola e il livello di apprendimento conseguito da studentesse e studenti.
Le cause di dispersione scolastica (così come delle difficoltà nelle esperienze di apprendimento), sono legate all’interazione di numerosi fattori. Tra questi quelli dovuti al contesto socio-economico e culturale, dovuti al contesto della singola istituzione scolastica o quelli dovuti a fattori personali, comprese condizioni biomediche e psicologiche, oltre che veri e propri disturbi riconosciuti e certificati.
Un’interessante ipotesi sulle difficoltà legate alle esperienze di apprendimento scolastico è stata proposta da Lucangeli, professoressa di psicologia dello sviluppo, ricercatrice ed esperta di Dsa e delle condizioni di neuroatipicità. Secondo Lucangeli, nel momento in cui ci approcciamo allo studio, non solo registriamo i contenuti disciplinari ma anche il ricordo autobiografico dell’esperienza e con esso le emozioni associate. Si possono riscontrare situazioni nelle quali, pur avendo promosso lo sviluppo di adeguate capacità di lettura, risoluzione di compiti, di comprensione, di elaborazione di informazione, gli studenti continuano a non riuscire, fallendo nello studio. Studenti che per molto tempo vivono situazioni di disagio, difficoltà oggettive e soggettive, sperimentano emozioni quali paura, vergogna, senso di fallimento, rabbia e frustrazione.
Tutti questi vissuti vengono associati a quel tipo di compito e vengono registrati in memoria. Nel momento in cui ci si trovi di fronte a compiti simili, come riaprire un libro, svolgere un’operazione aritmetica, ecc. si riattiva non solo lo script dell’evento, ma anche tutte quelle emozioni negative legate all’evento stesso.
Si viene a creare, dunque, quello che Lucangeli chiama Corto Circuito Emozionale, per cui paura, disagio e difficoltà emotiva vanno ad impedire l’apprendimento e il successo formativo, nonostante si abbiano tutte le carte in regola per poterli raggiungere. Questa ipotesi pone luce su quanto sia importante prestare attenzione all’emotività dei ragazzi e delle ragazze e quanto sia importante costruire relazioni empatiche tra insegnanti e studenti. Mitchell, uno studioso dei processi di apprendimento, ha sottolineato nelle sue ricerche come anche il clima della classe influisca sui risultati degli studenti.
Un clima caratterizzato da collaborazione, da un’attenzione all’apprendimento rivolta verso tutti gli studenti e verso le loro necessità, accettazione e considerazioni positive incondizionate, possa stimolare la riuscita degli studenti stessi e compensare esperienze emotive negative del passato. Il mondo emotivo degli studenti non va trascurato affinché possano raggiungere il successo potenziale senza perdersi. Una sfida che occorre affrontare subito, a partire dalle scelte che il prossimo Governo deciderà di attuare nell’ambito dell’Istruzione.
È fondamentale quindi aumentare significativamente, più che diminuire, le risorse destinate, portandole al pari della media europea. È evidente, infatti, che i fondi attualmente previsti sono già oggi insufficienti a garantire un’offerta educativa di qualità, rendendo la dispersione, un’ombra ancora presente nel lungo percorso formativo.
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