Con il No Borders Music Festival il turismo musicale mette al centro la natura

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Tarvisio è a una manciata di chilometri dall’Austria e dalla Slovenia, lo ricorda il cellulare con i messaggi di benvenuto. Qui il concetto di terra di confine si sente molto, ma chi vive da queste parti congeda ogni tipo di curiosità a riguardo con una frase netta, che oggi ha quasi un significato titanico: “noi confini non ne vediamo!”. E con lo stesso romanticismo nasce l’idea del No Borders Music Festival, giunto alla sua ventisettesima edizione.

image00004La rassegna è un contenitore di esperienze sonore, che non ammette limiti nella selezione del genere musicale  e spazia così dal rock al jazz, coinvolgendo artisti che arrivano da ogni parte del mondo. L’approccio della direzione artistica rispecchia dopotutto la vocazione del luogo, un vero e proprio crocevia al confine tra montagne che si fanno morbide nella luce dei Laghi di Fusine. Qui l’accoglienza è una cosa seria: il turista è piuttosto un viaggiatore, e come tale partecipa alla vita del posto. Anche se questo significa indossare un abito tipico durante i festeggiamenti di una celebrazione popolare per lasciarsi coinvolgere nelle tradizioni del posto.

image00002Nei boschi tarvisiani si impara persino a riconoscere gli alberi, dopo un vero e proprio bagno nella foresta, riservando loro il nostro abbraccio migliore. Il cosiddetto Forest Bathing è una pratica nata in Giappone col nome di “Shinrin Yoku” ed è molto diffusa in alcuni Paesi dell’estremo Oriente, dove essa svolge un grande ruolo nella medicina preventiva. Diversi studi scientifici condotti in Giappone e Corea del Sud hanno dimostrato che alcune sostanze volatili componenti degli oli essenziali prodotti da diverse specie di alberi, se inalate in dose sufficiente e per un periodo di tempo adeguato inducono cambiamenti fisiologici prolungati nel corpo umano come la riduzione dello stress, della pressione sanguigna e miglioramento del sistema immunitario.

Il festival No Borders ha messo pertanto a punto una strategia per promuovere il territorio tarvisiano attraverso la musica, inaugurando così una nuova stagione per il suo turismo che mette al centro dell’offerta cultura e attenzione all’ambiente. L’obiettivo è infatti ridurre l’impronta ecologica della rassegna attraverso concerti diurni, l’allestimento di isole ecologiche per la gestione della raccolta differenziata, accessi alle location esclusivamente a piedi o in bicicletta, una comunicazione digitale e gadget ecosostenibili. Con l’esempio del No Borders, anche gli altri festival nazionali hanno a disposizione un modello per pensare a una fruizione artistica sostenibile.

image00007Ad aprire l’ultimo fine settimana del No Borders, che quest’anno si è tenuto dal 22 luglio al 7 agosto, è stato il pianista e cantautore Benjamin Clementine con la sua produzione in equilibrio tra artificio e racconto personale. “Sto mandando le mie condoglianze alle insicurezze”, canta in Condolence, un inno all’accettazione di sé che esplode con in una voce – strumento strano e sbalorditivo allo stesso tempo. È stata poi la volta di Casadilego,  artista che esplora la dimensione pop attraverso lo sguardo delle contaminazioni, e di Daniele Silvestri con la sua disobbedienza alla gravità: “Io ho bisogno di andare in alto per percepire la bellezza – dice al pubblico di Tarvisio – Bisogna elevarsi per progettare il futuro, anche come collettività”. Asaf Avidan, invece, ha chiuso la sessione con sonorità ricercate capaci di intrecciare l’hip hop anni Novanta al gospel. 

Se si dovesse scegliere una sola immagine per descrivere l’esperienza al No Borders Festival, mostrerebbe quella in cui sul palco c’è Benjamin Clementine, mentre la pioggia riga i vestiti del pubblico. Intorno le montagne che si fanno evanescenti tra le nuvole e il lago. È una di quelle scene che servirebbe a descrivere il concetto di sublime nell’arte. Qualcuno direbbe che piove bene sugli impermeabili, e non sull’anima. E non sbaglia, perché tra i presenti risalta una coppia in primo piano che non si ripara dalla pioggia: loro non hanno bisogno di ombrelli come gli altri, figuriamoci di un cappuccio sulla testa. Sono liberi, giovani e bellissimi. Osservandoli si capisce all’istante che sul concetto di confine non è che ci sia poi così tanto da filosofeggiare: dopotutto basta guardare nella stessa direzione per superare ogni tipo di limite, proprio come fanno i ragazzi del No Borders Festival.

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