Scuola, negli Stati Uniti poche nozioni e più cultura sociale

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Sei tornata da scuola con quei tuoi occhioni, ti ho abbracciata al profumo della pasta al pomodoro che ami tanto, ti sei tolta lo zainetto da traino, pesantissimo, tra iPad e libri, era Magic Wednesday, quello in cui uno o più genitori vengono in classe ad assistere e compartecipare la giornata intera di lezioni e lavandoti le manine, mi hai raccontato che se ci fosse stata una sparatoria a scuola, a Brooklyn, a Williamsburg, non tutti i bimbi si sarebbero salvati e che ti avevano insegnato a correre in bagno, entrare e salire in piedi sul gabinetto per non fare ombre e non farti trovare in caso cercassero anche nei bagni, la tua ombra, lei no, non ti avrebbe tradito, ti avrebbe, nella mancanza, forse, salvato la vita.

Ho capito che era meglio non esserci per continuare ad esserci; dentro, al cuore, trafitto nel petto, mi sono detto agognato: basta per me questo è troppo. Con la mamma abbiamo deciso, due anni fa, fosse ora di tornare, di rientrare a casa, nella scuola italiana, lontana da me sì, ma al sicuro nelle istituzioni, nelle scuole del nostro Paese, quelle con la geografia, la storia coi libri e i saggi vigili bidelli.

La tua scuola qui negli Stati Uniti è iniziata a China Town, eri piccolissima, pochi dentini e frangina da birichina, avevi le scarpine profumate di gomma, quella coi micini che profumavano, quante risate. In quella sorta di Asilo Pre-School, eri brevemente diventata campionessa di kung fu, che mosse e che urla, dormivi in brandina assieme a tanti altri e diversi bambini, senza capire un parola, mangiando noodles e partecipando a lezioni di cinese, cartoni, scrittura, matematica ed esercizi di economia domestica.

I compleanni multi razziali, ma cinesi, festicciole, graduations, asian pear, mini bagnetti per il “potty training” e dormite pazzesche che i facevi al suolo con le maestrine entusiaste del tuo nome: Maitri, l’origine dell’amore, I am love dicevi.

Entrata alle elementari, quelle pubbliche, perché 30.000 dollari annui erano davvero troppi. Ci siamo resi conto subito che eravamo davanti a qualcosa di eccezionale, un esemplare scolastico mai visto prima, con un programma compartecipato dai genitori, finanziato volontariamente a suon di fund raisings da noi parenti. Serra sul tetto per produrre i vostri vegetalini, teatro, tornei di scacchi, tornei di matematica, ma manco un libro a pagarlo oro. iPad e computer, ricerche di scienze su google e una giornata a settimana dedicata all’integrazione.

Venivamo genitori e figli a rappresentare le nostre etnie e costumi e manicaretti, quella volta sì che mi hai fatto cucinare la tua pasta al pomodoro per tutta la scuola, lo rifarei altre mille volte. La mensa, la vostra mensa era ed è un concentrato di pochezze e distrazioni alimentari sbilanciata e compensata dalle buonissime e freschissime idroponiche verdurine della serra sul tetto della scuola, finanziata da noi genitori per fare l’iper meglio parziale. Yogurt zuccheratissimi, crocchette, polletto fritto, polletto arrosto, polletto alla griglia, un invasioni di polletti declinati in mille e una salsa, mele a spicchi in bustine, barrette di cioccolata, milk shakes da 1500 calorie cadauno e tutte le genialità di soda e snack che questo Paese ha saputo iniettare nelle scuole fin dal primo passo. Beveroni da 1 litro! No, tu non li hai mai bevuti e spesso il pranzo te lo portavamo noi, sì io, proprio io, più volte l’ho dimenticato nonostante ti avessi chiesto nel dettaglio di cosa avessi voglia oggi?

Il programma della scuola per chi come noi l’ha fatto altrove era incomprensibile ma chiaramente volto a: farsi capire e approciare da più punti e linguaggi, orientato al ragionare con ripetizione, tutto sul metodo e meno sul comprendonio. Meno nozionistico, niente storia, via la geografia, sì la band della scuola, sì tornei e attività di ogni tipo, dentro la YMCA il pomeriggio, mamma mia che istituzione di supporto alle famiglie e le immancabili opere di contributo delle famiglie, contributo economico, creazione di magliette, show, cinema. La scuola è delle famiglie che la frequentano, è incontro e rifugio per le famiglie agiate e meno agiate. Nella tua classe tre bambini erano homeless e tu lo sapevi, anche loro purtroppo, ma la classe non lo vedeva, anzi lo valorizzava, la scuola americana in questo non nasconde nulla né lo banalizza, ma lo ammortizza e ingloba subito.

Gli astucci e corredo scolastico uguale per tutti, il primo giorno tutti portammo quanto richiesto, messo in un punto comune e tutti i bambini prendevano quanto di necessario come dettagliato: gomme, penne, diari, guanti, gessetti e mille altre cose ben congegnate. La scuola qui é fruizione del primo grande impegno americano: integrazione e mettiamocela tutta per volerci bene, perché tra mille accenti usi e costumi è facilissimo pestarsi i piedi e allora a questo le famiglie, le nonne e i fratellini ancora poppanti contribuiscono instancabilmente.

Il programma non l’ho mai compreso, però mi ha sempre molto colpito quanto l’impegno della scuola pubblica fosse più che fornire scrutini agli alunni, riceverne dallo stato sulle proprie performance, tutto e sempre una classifica. Tornavi a casa e non avevi mai letto ne sentito parlare di Moravia, né di Marcovaldo o della Pimpa, tanto meno di Topo Gigio. A me pareva ci finissero le parole. Non avevi mai incontrato le Favole al telefono o capito dove fosse la Spagna rispetto all’America, ma hai incontrato miriadi di storie, di culture e accenti tosti, vissute tutte genuinamente. Primarie, con pari lingua inglese spagnolo e ogni altro linguaggio. Tutti i linguaggi, che razza di casino, quanta entropia diamine!

Non è mancato un pizzico di bullismo, risolto professionalmente e prontamente dalle tue insegnanti giovanissime, non è mancato mai un momento di panico e incontri con possibili rimedi farmaceutici per ogni minuzia, la porta della terapeuta della scuola sempre aperta per tutti voi, per ogni esigenza compreso i tuoi amichetti homeless che avevano paura di dormire per strada, quelli che avevano perso il papà e voi tutti per ricordare un altro amichetto che non si è mai svegliato una mattina e ve lo hanno detto dopo, più avanti e avevi perso il sonno.

Ora che ci penso questa scuola americana che non ho mai capito bene e del tutto, oggi e ora, proprio qui e adesso con voi, mi piace da impazzire perché mi ha segnato molto, moltissimo e me ne rendo conto ora; sì certo i libri da leggere, la storia, la geografia, la letteratura che conosciamo e tanto amiamo non c’erano proprio, ma quel senso mondiale, globale e di diritto delle famiglie sull‘istruzione sì ora l’ho capito.

D’altronde ora che sei a scuola in Italia, è vero che ci passiamo le cuffiette quando ci vediamo per ascoltare Samuele Bersani, ma la tua nuova scuola non la so ancora, non l’ho capita, ma perché è Italiana e la intuisco con un filtro dei miei quasi 50 anni, già mi piace un po’, ma io che ne so? So che tu ora sei li.

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