Donne rifugiate e richiedenti asilo: servono i dati e la formazione degli operatori

corona-5069866_1920

I dati servono per comprendere i fenomeni, per fotografare la realtà, capirla e quindi approntare gli strumenti per migliorarla. I dati, però, mancano nel caso delle donne rifugiate e richiedenti asilo in Italia. Manca una mappatura ufficiale, mancano dati sull’accoglienza nel nostro Paese e sulle caratteristiche di questa accoglienza. Quest’anno, tra l’altro, si celebrano i 20 anni dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite su donne, pace e sicurezza. Ed è quindi il momento giusto per fare un bilancio.

Bonetti: impegno ad accogliere e ascoltare queste donne
La realtà da cui partire è che le donne richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale subiscono, proprio per la loro appartenenza di genere, discriminazione e violenza che attraversa tutte le tappe della loro vita, dal Paese di origine, al viaggio, alla permanenza in Italia. Possono trovarsi, infatti, a subire violenza anche nel Paese d’arrivo, senza politiche di accoglienza che adottino una prospettiva di genere . “Oggi – ha detto Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità al convegno organizzato da Pangea Onlus  ‘Donne, pace e sicurezza’ – avere il coraggio di dire che dalle donne e con le donne possiamo promuovere processi di pace, credo sia una sfida che vada al di là di ogni retorica. Dobbiamo assumerci l’impegno di saper accogliere e ascoltare queste storie e queste vite ma ancora di più di poter dare a ciascuna donna l’opportunità di desiderare una vita nuova e di aiutarla a far sì che questo desiderio diventi un progetto concreto”.

Dalla mappatura del sistema di accoglienza in Toscana emergono criticità
A comporre un primo piccolo, ma emblematico, tassello dell’accoglienza in Italia ci ha pensato la fondazione Pangea Onlus. E’ stata, infatti, realizzata una mappatura in Toscana che tra le altre regioni coinvolte nell’accoglienza dovrebbe costituire un caso positivo in quanto storicamente più sensibile ai temi in questione. I risultati, invece, mostrano una difficoltà nell’accoglienza delle donne  per la mancanza della prospettiva di genere e per la carenza di formazione adeguata per gli operatori e le operatrici che c’è a monte.  La mappatura è stata realizzata nell’ambito del progetto “E-sister-e for Peace: la sorellanza senza frontiere”, promosso da Fondazione Pangea Onlus i cui risultati sono presentati nel corso del convegno di oggi.

Donne poco presenti nei progetti
Un altro risultato della mappatura è la scarsa presenza di donne nei progetti Sprar, cioè il “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”. La maggior parte dei progetti è riservata a singoli uomini adulti, solamente 17 progetti accolgono donne e solo un progetto è esclusivamente riservato a donne. Un altro dato importante emerso dalla mappatura è la provenienza geografica delle donne ospitate negli Sprar. In linea con il dato a livello nazionale, secondo cui le donne nigeriane rappresentano il 41,5% del totale delle donne che hanno avuto accesso ai centri.

Pangea: migrazione non è neutra, serve approccio di genere
La formazione è un altro aspetto critico che emerge dalla mappatura, non è qualcosa di sistematico e obbligatorio per gli operatori e operatrici dei progetti Sprar, né per le persone ospitate, che siano donne o uomini.  “La mappatura dei sistemi di accoglienza in una regione per molti aspetti virtuosa come la Toscana – afferma Simona Lanzoni, vicepresidente Pangea Onlus – ha messo in luce varie lacune. Le donne sono ancora percepite come soggetti portatori di problematiche maggiori rispetto agli uomini, costano di più, soprattutto in caso di figli e di inserimento lavorativo. Inoltre hanno traumi legati alla violenza basata sul genere, molto spesso in Libia, che si ripercuotono per lunghi periodi nella loro vita e processo di integrazione”. In più, prosegue Lanzoni, “la migrazione non è mai neutra e per accogliere è fondamentale capire cosa sia un approccio interculturale di genere che tenga conto delle diverse esigenze delle donne, come anche degli uomini migranti, richiedenti asilo e rifugiati. E’ fondamentale, per esempio, accogliere il vissuto delle donne in quanto donne e delle motivazioni che le portano a scappare dai loro Paesi, come far emergere e poi prendere in carico i vissuti violenti che purtroppo quasi tutte indistintamente vivono nei loro tragitti sino in Italia. Per questo è necessaria una formazione specifica interculturale di genere e sulle violenze da parte degli operatori e delle operatrici negli ex Sprar, ora SIPROIMI (Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e Minori Stranieri non Accompagnati) che spesso manca o è discrezionale”.