La scuola si sposta in giardino

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É oramai chiaro che la scuola non riaprirá a breve, e in molti vedono come orizzonte possibile solo settembre, ma in che termini ancora non si sa. Idee, ragionamenti, fughe di notizie vere o presunte su classi alternate e numeri ridotti. Di fatto, nulla di fatto. Al momento non sembra esserci una soluzione concreta, che permetta ai bambini e ai ragazzi di rientrare in aula in tutta sicurezza.

La vita della scuola italiana è la vita di milioni di famiglie. La pandemia ha portato allo scoperto nodi sui quali si è dibattuto da anni, sebbene a stagioni alterne: ci vuole una scuola piú al passo con i tempi, ci vogliono piú docenti, abbiamo bisogno di piú inclusione, piú ore di inglese e meno di latino (o viceversa) e tanto altro. L’argomento é davvero di quelli scottanti, non solo perché è il settore che piú strategicamente concerne il futuro del Paese, ma anche perché i numeri sono elevati: gli studenti in Italia sono piú di 8 milioni e di conseguenza le famiglie coinvolte sono tante, da sud a nord.

Notizia della scorsa settimana è l’istituzione di un Comitato di esperti presso il Ministero dell’Istruzione che si occuperá di gestire idee e proposte. Al di lá della questione istituzionale e legislativa, i genitori si interrogano su che strada prenderá la scuola e soprattutto se su quella strada ci sono o no i loro figli, tanto che molti si chiedono: lasciare i figli oppure il lavoro?

Eppure dalle esperienze del passato arrivano alcune suggestioni che potrebbero darci una mano. Una in particolare, quella delle scuole all’aperto, potrebbe aiutarci ad immaginare e strutturare un’organizzazione che preveda la combinazione di attivitá a distanza ed altre in presenza, ma all’aperto. In Italia esiste infatti una rete che riunisce esperienze di scuole, che hanno come aule la natura, in molte regioni.

L’educazione en plein air  ha una tradizione antica ed é nata proprio per ragioni di tipo sanitario, quando nell’Ottocento ci fu l’esigenza di garantire un’educazione anche ai bambini gracili che maggiormente erano predisposti ad ammalarsi, infatti si trovavano in spazi verdi e spesso a distanza dai centri abitati. Questo tipo di scuola era inclusiva perché accoglieva bambini con varie difficoltá ed era innovativa, perché stimolava la nascita di nuovi metodi, la ricerca di soluzioni didattiche piú adatte al contesto ‘naturale’ in cui si svolgevano le lezioni.

Questo nuovo modo di fare scuola, che portó ad una piú attenta collaborazione e cooperazione tra docenti ed allievi, è illustrato molto bene nel volume Per una storia delle scuole all’aperto in Italia di Mirella D’Ascenzo, che ci fornisce un quadro da cui attingere ed ispirarci per immaginare nuove soluzioni. Su questo tema è stata ideata anche una mostra che si è tenuta al MAMbo di Bologna nel 2018, il cui obiettivo principale era la necessità di recuperare la dimensione storico-educativa dell’educazione all’aperto in natura, di riscoprire il significato formativo per rilanciare questo modo di fare scuola come sfida ed opportunità delle nuove generazioni e delle istituzioni educative attuali.

Le immagini e i testi ci mostrano come si svolgevano le attività all’esterno, anche d’inverno. Ad esempio con sedie pieghevoli si usciva e si cercava il posto adatto per apprendere la lettura, la scrittura, l’aritmetica, la geometria, le scienze naturali, con una metodologia fondata sull’osservazione dal vero e sull’esperienza diretta degli alunni.

Al momento non si intravede un cammino lineare e semplice, l’unica certezza sembra essere la famigerata DAD! La didattica a distanza è stato il grande banco di prova di docenti e studenti in questi mesi. Una rapida accelerata verso l’uso dei maggiori software di condivisione lavoro, per colmare il vuoto improvviso generato dalla non presenza fisica nelle aule scolastiche. Ma anche una frenata brusca in termini di inclusione sociale, non è ancora chiaro quanti bambini e ragazzi la scuola si sia persa in questi mesi, a causa del digital divide, ma anche e soprattutto per le disparità culturali con cui tante famiglie ancora oggi devono confrontarsi.

Non possiamo ignorare i dati allarmanti relativi all’analfatismo funzionale e digitale forniti dall’OCSE, che fotografa una realtà in cui 3 insegnanti su 4 riferiscono di aver bisogno di ulteriore formazione nelle TIC per svolgere la propria professione, e piú in generale solo il 21% degli individui in età compresa tra i 16 e i 65 anni possiede un buon livello di alfabetizzazione e capacità di calcolo.

E quindi una proposta, se non proprio una necessità, potrebbe essere quella di individuare uno spazio educativo e scolastico diverso da quello delle aule chiuse, sia online che offline, magari collocato nei giardini, fuori o dentro le città. Un’area all’aperto, in ambiente naturale, a contatto diretto con la terra e con il sole e con una Natura che diventa contesto di vita scolastica ed anche oggetto di studio, risorsa educativa e didattica.

  • Antonella Cataldi |

    Scuola all’aperto nei giardini della scuola avendo aule piccole per accogliere i bambini in questo periodo di pandemia

  • Andrea Ceciliani |

    Carissimi,
    sono molto felice nel vedere questa apertura riferita all’educazione all’aperto. Suggerisco di andare a visitare il sito Movimparo. Vado al massimo, del Comune di Modena dove sono riportate le esperienze di oltre dieci anni di educazione all’aperto nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, ancor prima del Covid19.

    http://memoesperienze.comune.modena.it/movimparo/index.html

    Grazie dell’apertura alla partecipazione.

    Cordiali saluti,
    andrea ceciliani

  • Marion Boday |

    GRAZIE!!! un articolo interessantissimo!

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