Pensioni, perché le donne prendono 6mila euro in meno degli uomini

Una signora anziana legge una cartella dell'Inps a Pontedera in una foto d'archivio. ANSA / FRANCO SILVIDice l’Istat che, sulla base dei dati aggiornati al 2017, una donna in media prende 6mila euro in meno di pensione in meno di un uomo. 6mila euro all’anno significano 500 euro al mese: non è poca cosa, vuol dire l’affitto di casa pagato. Pagato per gli uomini e per le donne no. Aggiunge la Cgil che le pensioni di vecchiaia erogate alle donne sono il 48% in meno rispetto a quelle erogate agli uomini. Sempre la Cgil – che ha elaborato un’analisi nazionale insieme all’Inca presentata nei giorni scorsi – ricorda che su 100 pensioni integrate al minimo, 83 sono destinate alle donne, le quali ricevono una pensione di vecchiaia che ammonta a 645 euro lorde al mese. Insomma, nell’accesso al sistema pensionistico in tutte le sue forme, dal quella minima a quella di vecchiaia, le donne sono penalizzate.

Il motivo? Tutti questi dati, pur differenti, ci dicono una sola cosa: che le donne non arrivano mai ad accumulare tanti anni di lavoro quanto gli uomini. Avere stipendi mediamente più bassi certo incide, nell’era della pensione contributiva. Ma incide forse ancora di più il fatto che una donna ha meno “tempo” di lavorare di un uomo. Perché deve badare ai figli, in primo luogo: e spesso entra ed esce dalla carriera lavorativa per meglio accudirli nell’infanzia o seguirli nell’età scolare. Poi però, quando sono più grandi, a volte sono i genitori anziani a richiedere le cure delle donne: così, altri anni passano al di fuori del circuito lavorativo. E non perché le donne, in questo caso, non lavorino lo stesso, ma perché a fronte di questo “lavoro” non accumulano nessun contributo. Il risultato finale sono quei 6mila euro di pensione in meno, in media, all’anno.

Le donne, ricorda la Cgil, sono penalizzate anche per l’accesso alla pensione anticipata. Hanno potuto usufruire di strumenti come Ape sociale e Precoci solo rispettivamente il 34% e il 17% delle lavoratrici. Anche ‘Quota 100’ resta una risposta parziale: sulla base di alcune stime del sindacato le donne che nel 2019 utilizzeranno questa misura saranno circa 40mila, il 26% del totale. «Per rimuovere le attuali disuguaglianze – ha dichiarato il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli – serve una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico, vanno riconosciute le diverse condizioni delle persone. Bisogna tutelare le carriere discontinue e il lavoro di cura prestato in ambito familiare, che per il 68% è a carico delle donne. Bisogna anche intervenire sulle lavoratrici in part time verticale ciclico che ad oggi, non vedendosi riconoscere i contributi nei periodi di sosta lavorativa, sono costrette ad andare in pensione più tardi».

In attesa di una seria riforma “di genere” delle pensioni, qualcosa si potrebbe fare: chiedere a mariti e compagni di stare a casa loro, coi figli e con i genitori anziani. O in alternativa, di farsi carico di quei 500 euro dell’affitto fin da subito. Così, quando anche noi andremo in pensione, avremo messo via abbastanza soldi per non sentire più la mancanza dei soldi per pagarci la casa.