Il ddl Pillon sulla riforma dell’affido dei minori in caso di separazione va ritirato, perché “non è emendabile”. Alla vigilia della chiusura della lunga tornata di audizioni in commissione Giustizia al Senato, le opposizioni invocano il ritiro del disegno di legge. E invitano alla mobilitazione sui territori, a partire dai Consigli comunali con mozioni ad hoc. Sono state Valeria Fedeli (Pd) ed Emma Bonino (+ Europa), ieri a Palazzo Madama, presenti anche gli ex presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, a riaccendere i riflettori sul provvedimento.
La bocciatura è senza appello. “Il testo è un attacco esplicito a chi non ha la possibilità di esprimersi, ovvero i bambini e le bambine”, ha affermato Fedeli. “Ci siamo confrontati con tutti in questi mesi, anche con chi ha posizioni differenti. Il risultato è chiaro: la maggioranza delle persone competenti in materia sostiene che non è emendabile. Va ritirato”.
Amara la lettura di Bonino: “Leggendo il Ddl sembra di ritrovarmi negli anni 70: occorre tirare fuori i vecchi slogan, a partire dal banalissimo ‘io sono mia’. È inaccettabile questa intrusione nella vita privata dei cittadini e delle cittadine”. Per la senatrice Bonino, “il Ddl non è soltanto frutto di nostalgia reazionaria di un tempo ideale che non fu mai: serve come grimaldello. Si comincia a riformare il diritto di famiglia per poi passare alla legge 194 sull’aborto e a quel che resta della legge 40 sulla procreazione assistita”.
Boldrini ha elencato gli elementi più pericolosi del disegno di legge, segno a suo avviso di una “preoccupante ondata di machismo, sovranismo e sessismo che passa non solo in Italia per l’attacco ai diritti delle donne”: la cancellazione dell’assegno di mantenimento (“In un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è fermo al 49%, significa che le donne non potranno mantenere i figli); la considerazione dei bambini come “pacchi postali”; la mediazione obbligatoria. Ma soprattutto il debutto normativo dell’alienazione parentale (Pas), una “presunta malattia” come ha sentenziato ormai buona parte della comunità scientifica internazionale.
Questione nodale, quella dell’alienazione parentale, sviscerata dalla giornalista Luisa Betti, che ha ricordato come “sin dal 2006, dopo la legge sugli affidi, siano cominciati a nascere gruppi di padri separati pro Pas che cercano di far entrare l’alienazione parentale in una legge”, nonostante il non riconoscimento della sindrome da parte del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità e la completa sconfessione della sua dignità scientifica da parte di una sentenza della Cassazione, nel 2013, redatta da Gabriella Luccioli. Una delle tante voci autorevoli che si sono levate in questi mesi contro il Ddl Pillon. “La Pas, citata negli articoli 17 e 18 del Ddl, viene usata spesso nei tribunali per ribaltare le responsabilità: se una donna è preoccupata per il partner violento e denuncia in sede penale, il tribunale civile o quello dei minori potrebbe ribaltare la responsabilità sostenendo che è la mamma a essere malevola o alienante”.
Più volte è stata evocata la drammatica vicenda di Federico Barakat, il bimbo di soli otto anni ucciso dal padre a coltellate durante un incontro protetto. Nei confronti di sua mamma, Antonella Penati, si era parlato di Pas. Fu accusata di mentire sulla pericolosità del suo ex compagno per ritorsione personale. Oggi con la sua associazione, “Federico nel cuore”, combatte per denunciare l’uso di questo strumento. Perché non accada più. “Ma l’obiettivo del Ddl è invece quello di introdurlo per legge per eliminare l’unico argine: la discrezionalità del giudice”, ha osservato Betti.
Molto applaudito l’intervento di Valeria Valente, senatrice del Pd da poco eletta presidente della commissione d’inchiesta sul femminicidio. “È un ddl contro i bambini, prima ancora che contro le donne, e ignora volutamente il fenomeno della violenza, al punto da citarla soltanto quando è ‘comprovata’”, ha denunciato. Ricordando come viene abolito l’articolo del Codice penale che punisce chi non provvede al mantenimento e che si trattano i bimbi al pari di persone quasi “da curare per recuperare la genitorialità, in una logica vendicativa”. Valente chiama in causa il sottosegretario M5S alle Pari opportunità, Vincenzo Spadafora, che a gennaio aveva detto: “Il Ddl Pillon, così come è stato formulato, non sarà mai approvato”. Non basta, secondo la senatrice dem: “Non ci sono possibilità di emendare e migliorare questo testo. Se la logica è cambiarlo, non è accettabile”.
Non sono mancate le prese di posizioni maschili. Dure più e quanto quelle femminili. “La riforma alimenta le disuguaglianze e le discriminazioni di genere, ridisegnando le relazioni totalmente a favore degli uomini”, ha commentato Grasso, ora senatore di Leu. “Sottrae ai giudici le competenze sul diritto di famiglia, premierà il coniuge economicamente più forte, aggravando le già note penalizzazioni che in Italia colpiscono le donne che diventano madri. Con i minori che passano da soggetti centrali a pacchi, zainetti. È un testo orribile, tassello di una regressione più vasta in cui le peggiori spinte maschiliste si saldano con quelle razziste e xenofobe”.
Il senatore Pd Alessandro Alfieri, padre separato, ha ammesso di aver sottovalutato all’inizio il rischio del Ddl, classificandolo come l’ennesimo esempio di “folklore legislativo”. Poi la presa d’atto che si tratta di una tessera “di una strategia più ampia in un clima culturale preoccupante”. Toccante la sua testimonianza personale: “Conosco la rabbia e la frustrazione che possono scattare quando non è possibile vedere i propri figli. Però anche nei momenti più bui non ho mai pensato che dovesse venire prima un mio diritto soggettivo rispetto al bene di mia figlia”. Il collega deputato Alessandro Fusacchia di +Europa è stato tranchant: “Il legislatore tratta gli adulti di questo Paese da bambini e impone la bigenitorialità come se la società non fosse quella italiana, senza prima pensare a estendere i congedi di paternità obbligatori e senza un’agenda per l’empowerment e il lavoro delle donne”. Sulla stessa linea anche la senatrice Cristina Rossello, che ha inviato una lettera alle organizzatrici, sottolineando come il ddl abbia racconto opposizione in modo trasversale all’interno del Paramneto, con forti dubbi anche nella maggioranza.
Il destino del Ddl si deciderà la prossima settimana. Se non si vedrà la possibilità di un ritiro, le opposizioni chiederanno almeno il passaggio in commissione Giustizia dalla sede redigente (che attribuisce carattere definitivo alla votazione sui singoli articoli, lasciando all’Aula solo il voto del provvedimento nella sua interezza) alla sede referente. “Ma a quel punto ci sarà una tabella di marcia, tempi da rispettare e potrà andare avanti”, ha chiarito Valente. Con la spinta della Lega, e con l’incognita dell’orientamento dei Cinque Stelle, alcuni dei quali risultano tra i firmatari del Ddl.
Suona come un monito la frase del romanzo distopico “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood citato da Grasso: “Nulla muta istantaneamente: in una vasca da bagno che si riscaldi gradatamente moriresti bollito senza nemmeno accorgertene”. L’acqua scotta, avvisano le opposizioni. E si danno appuntamento a Verona, la città che ha già votato la mozione pro life contro la 194 e che dal 29 al 31 marzo ospiterà sulla stessa lunghezza d’onda il Congresso mondiale delle famiglie 2019, patrocinato dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dalla Regione Veneto. Che ha come obiettivo dichiarato “affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”.