La principessa ha un abito bianco che si staglia come una luce ardente in uno sfondo buio. Combatte contro un drago che sputa fuoco. È il disegno di una bimba di nove anni che era rinchiusa nel ghetto di Terezín campo di concentramento in Cecoslovacchia a sessanta chilometri da Praga.
Matteo Corradini, storico, ebraista, scrittore lo mostra ogni volta prima di iniziare il suo reading “La Shoah delle ragazze”. È un momento intriso di conoscenza e riflessione che restituisce memoria alle donne dell’Olocausto, lo sterminio terribile e sistematico perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nella seconda guerra mondiale in cui perirono milioni di ebrei deportati e uccisi nei lager.
«Quella bimba, morta poi in un altro campo di concentramento, ad Auschwitz, forse sapeva dentro di lei che non sarebbe arrivato nessuno a salvarla. Era già consapevole del fatto che le donne se la cavano da sole, non possono aspettare che qualche uomo le tragga in salvo» afferma Corradini.
“La Shoah delle ragazze” è un mosaico di parole, poesie, angoli del cuore che svelano inquietudini, speranze, paura e coraggio. È un racconto corale di piccoli mondi autentici. Le protagoniste sono tutte donne ed ebree, ma ognuna di loro è diversa. Eppure c’è qualcosa che le accomuna:
«Nelle parole di queste donne traspaiono i loro interrogativi sul loro ruolo nel mondo. Erano persone che subivano una doppia discriminazione perché donne ed ebree. Mi sono chiesto se c’era anche qualcosa di più. Un’identità, un modo altro di affrontare il proprio tempo e il loro destino. Ho pensato che poteva essere una lente con cui osservare anche il nostro presente, le tante donne migranti che arrivano oggi in Italia e le discriminazioni che patiscono» osserva Corradini.
Le ragazze della Shoah sono donne che hanno camminato a testa alta in quelle tenebre atroci, non smarrendo mai il proprio cuore pensante, vittime, come diceva la filosofa Hannah Arendt, di un terribile attentato alla diversità umana. Quest’anno “La Giornata della Memoria” (si celebra ogni anno il 27 gennaio per commemorare le vittime del genocidio degli ebrei) è dedicata proprio a loro, alle donne, per illuminare i loro passi, le loro storie.
«È vero che nella Shoah ci sono state donne kapò e naziste di estrema violenza, ma c’erano sempre degli uomini a comandarle. La struttura organizzativa era maschile. Le donne per questo motivo hanno subito la storia in un modo più duro rispetto a come l’abbiano vissuta gli uomini» dice Corradini.
“Mi è costato molta fatica e molte lacrime diventare così indipendente come sono adesso. Puoi anche ridere e non credermi, non me ne importa niente, so di essere una persona indipendente e non mi sento affatto di rendere conto a voi. Delle mie azioni devo essere responsabile solo davanti a me stessa” scriveva nel suo diario Anna Frank, la ragazza che viveva rinchiusa in una soffitta di Amsterdam, “l’alloggio segreto” così lei lo chiamava, per cercare di sfuggire ai rastrellamenti dei nazisti.
Adolescente lucida e appassionata, Anna sognava di girare l’Europa, diventare giornalista e scrittrice e si era fatta una promessa: vivere una vita diversa, una vita che non fosse come quella delle altre donne destinate al focolare domestico. Anna immaginava la libertà, un’esistenza intrepida. “Non mi accontenterò di un futuro modesto” diceva. Le sue pagine colme di speranza e desideri, così vivide sono diventate, dopo la sua morte nel lager di Berger-Belsen, una testimonianza preziosa di vita in uno sterminio smisurato.
Anna è una delle protagoniste del recital di Corradini. L’ebraista ha selezionato per il suo progetto dei brani di giovani donne, note e meno conosciute, che hanno attraversato le tenebre di uno dei periodi più oscuri della storia moderna.
Non c’è solo Anna Frank. C’è l’irrequietezza creativa della scrittrice ebrea Etty Hillesum che ebbe la possibilità di salvarsi dal genocidio nazista. Decise invece di affrontare un destino di morte. Anche lei si era interrogata sul suo essere donna. “Forse la vera emancipazione femminile deve ancora incominciare. Non siamo ancora diventate persone, siamo donnicciole. Siamo legate a tradizioni secolari. Dobbiamo ancora nascere come persone, la donna ha questo grande compito davanti a sé” aveva scritto nelle sue lettere.
C’è anche la poesia struggente di Ilse Weber, scrittrice e musicista che era diventata infermiera nel lager di Terezín dove era rinchiusa con il suo piccolo. Ilse scriveva canzoni, componeva nenie per i bimbi reclusi, donava luce, amore in quell’inferno.
Ci sono i vissuti di altre donne investite dall’odio antisemita, dal razzismo, da una furia cieca e implacabile. Le parole che hanno scritto, le tracce che hanno lasciato nonostante la distruzione delle loro vite, le hanno rese per sempre vive.
Nel recital è l’attrice Valentina Ghelfi a donare loro una voce incarnata.
«Questi testi mi hanno stupita. Ci sono molte cose in cui mi sono riconosciuta» spiega « ad esempio c’è un pezzo del diario di Anna Frank in cui lei parla del suo corpo o del rapporto con la madre. È difficile pensare che c’era vita in una situazione tanto dura. Eppure era così. Erano persone, donne che lottavano per tenere a galla gli ultimi barlumi di esistenza. Che guardavano il cielo e le stelle, la natura e trovavano la forza per resistere ancora un po’».
La storia ha cercato, a volte, di appiattire le esistenze delle donne occultando i loro vissuti. “La Shoah delle ragazze” crea invece consapevolezza, sensibilizza sulla condizione femminile che non è mai agevole, ma è sempre complessa.
“Quello che mi sta accadendo lo trovo così meraviglioso, e non solo l’aspetto esterno del mio corpo che si vede, ma anche i cambiamenti interni. Ogni volta che sono indisposta nonostante il fastidio, il dolore e la sporcizia, ho la sensazione di portarmi dentro un dolce segreto, per questo, anche se non mi procura che noie, ogni volta aspetto con gioia il momento in cui tornerò ad avvertire dentro di me il dolce segreto”.
È il brano in cui Anna Frank parla di mestruazioni ed è uno dei passi preferiti di Ghelfi che spiega: «È importante far capire che la Shoah ci ha portato testimonianze come questa. Una ragazza che onora se stessa, la sua ciclicità, il suo tempo di donna. Qualcosa che viene spesso dimenticato».
Il recital è entrato nelle scuole, nelle università come la Cattolica.
«Le ragazze dell’Olocausto ci possono insegnare la resistenza e la resilienza, quella capacità meravigliosa di mantenere accesa dentro di noi una fiammella di vita nonostante tutto. Queste storie permettono di conoscere donne da cui attingere forza, punti di riferimento che possono aiutarci a essere più consapevoli» afferma Ghelfi.
«Bisogna riscoprire i vissuti delle donne e non far calare mai l’attenzione su questo periodo storico che può trovare dei riscontri drammatici nel nostro oggi» asserisce Corradini. Perchè la nostra umanità non si assopisca mai. È il dovere civico di illuminare in modo pieno il nostro passato, quell’immane tragedia che non deve e non può per nessuna ragione ripetersi più.