#tempoperme: quando a concedertelo sono gli “imprevisti”

Images that show what it feels like to suffer from mental illness. Bringing the inside to the outside.

Un mese di vita. La mia. La diagnosi è stata inappellabile. Il “medico” a cui mi sono rivolta me lo ha detto così, quasi sussurrando. Il suo sguardo addolcito dagli occhiali da presbite tradiva una specie di compassione, mentre guardava sconsolato quello che era ormai diventato più di un organo vitale per me, quasi una protesi.

whatsapp-image-2018-01-23-at-18-15-161Su un bancone che ricordava quello di un obitorio giaceva esanime un insieme di parti divelte che una volta era un computer portatile, il mio. Da una parte lo schermo, dall’altra la tastiera, in mezzo due fili che ballavano, e non avrebbero dovuto (no, niente morale, ma erano nel mio computer per fare altro). E delle viti tranciate “che non si possono riparare. Bisogna ordinare tutto il pezzo, il guscio, ma potrebbe arrivare anche tra un mese, capisce?”.

whatsapp-image-2018-01-23-at-18-15-21No che non ho capito, il guscio per me ce l’hanno solo le uova, ma siccome mi fido di questo medico dei computer, che per inciso aggiusta anche le scarpe, quale sia il nesso non lo so, ma con i tacchi è bravissimo, quindi perché non dargli una chance anche con questi dispositivi che invece delle gambe slanciano il pensiero; insomma, il messaggio forte e chiaro è stato che avrei dovuto condurre la mia vita per un mese, almeno, senza il mio Asus. Maledetto il momento in cui sono inciampata nell’alimentatore e l’ho trascinato a terra. Perché io con il mio portatile ci lavoravo, mi divertivo, ci vivevo. E lo smartphone no, non è la stessa cosa. L’ultimo sguardo alle mail della sera, l’ultimo ritocco a quel pezzo che non mi convince, l’ultima battuta su facebook, richiedono un corpo a corpo con uno schermo dignitoso, di almeno tredici pollici. Quelli che mi parevano infiniti, quelli del mio portatile. Lui ed io, sempre connessi. Sempre lì a disposizione, a qualsiasi ora.

whatsapp-image-2018-01-23-at-18-16-111Ecco, forse anche troppo a disposizione, al punto da farmi credere di non poter fare più a meno di lui. Perché c’era sempre un’ultima mail da guardare, un mio pezzo da correggere, una battuta da commentare su facebook, una notifica di linkedin, un tweet imperdibile (ma davvero davvero?). Tanto che quando ho letto gli ultimi dati del Digital in 2017 Global Overview, secondo cui in Italia vengono spese quattro ore al giorno in rete davanti al desktop e due ore e otto minuti da mobile, ho pensato che nella logica statistica del pollo, io ero quella che di polli ne aveva mangiati due, perché per me quelle ore andavano quasi raddoppiate. Come avrei potuto fare? Oggi che è passata quasi una settimana e che per lavoro ho una postazione fissa con un pc fississimo che non posso portare a casa per la sera, il primo risultato tangibile è che ho letto un libro. Quello che stava sul comodino da almeno due anni, quello che non avevo mai tempo. Quando torna Asus 13 devo fargli un discorso. Sono certa che il nostro rapporto riprenderà su nuove basi, migliori. Se davvero mi vuole bene, come gliene voglio io, anche lui sarà contento che io abbia ritrovato del (vero) tempo per me.

  • Roberto |

    Auguro a tutti, meno emozioni virtuali e più emozioni reali ….positive logicamente

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