Gennaio è il mese dei buoni propositi. Basta visitare in questo periodo una qualsiasi libreria per rendersene conto: dalla vetrina ci strizzano l’occhio volumi sull’alimentazione, lo yoga, la meditazione e lo sport, quasi che volessero invitarci a impartire una svolta alla nostra vita e a farlo in fretta, perché gennaio, il mese dell’anno in cui il passato non conta più e tutto diventa magicamente possibile, non durerà in eterno. Dopo un anno trascorso a spuntare una dopo l’altra le voci della lista delle incombenze, ci lasciamo corteggiare dal desiderio di condurre una vita più rilassata e di dedicare più tempo a noi stessi: tempo per una birra con gli amici, tempo per terminare di leggere un romanzo, tempo per andare in palestra.
Per la maggior parte di noi, ogni anno i buoni propositi si arenano però molto presto, spesso in concomitanza con il cambio di vetrina in libreria. A poche settimane dall’inizio dell’anno veniamo fagocitati dal ritmo frenetico della vita: soccombiamo allo stress lavorativo, soffriamo per le tensioni famigliari, ci lasciamo angosciare dalle cattive notizie che circolano nei media e anche il tempo per sé finisce così per essere disciplinato da interminabili liste che attendono di essere spuntate. Inevitabilmente la determinazione sfuma, sentirsi stressati torna ad apparirci normale e non ci resta che attendere il prossimo gennaio per replicare gli stessi buoni propositi. Ma nel frattempo ci attendono mesi difficili: cadiamo vittima di condizioni critiche come stanchezza, sbalzi d’umore, scatti d’ira, stati d’ansia, nei casi peggiori addirittura depressione e disagi cronici; condizioni, queste, alla cui soluzione non abbiamo tempo né energie da dedicare e che preferiamo trattare cercando di soffocarne i sintomi anziché ricercarne le vere cause nello stress. In altre parole ci infiliamo in un senso unico, convinti di essere vittime dell’ambiente circostante piuttosto che possibili artefici di una vita migliore.
Se riflettiamo sull’ossessione moderna della quantità a scapito della qualità e della velocità a scapito della lentezza, non possiamo stupirci se lo stress viene indicato come la malattia del nostro tempo. Ma siamo davvero condannati a soffrirne? Esisterà un modo per rallentare, rilassarsi e guarire da questo male? Secondo Kelly Noonan Gores, regista statunitense del documentario intitolato Heal (tradotto “Guarire”), esiste eccome e si fonda sulla fiducia che riponiamo nella capacità innata del nostro corpo di autoguarirsi. Raccogliendo le testimonianze di medici, scienziati e guaritori di corpo e mente, Noonan Gores si concentra sui disagi e sulle malattie causate dallo stress, che secondo gli esperti intervistati corrispondono al 90% dei casi, e sottolinea quanto il tempo dedicato a se stessi, alle emozioni e ai pensieri positivi possa indurre il corpo ad uscire dallo stato di stress e di conseguenza ad autoregolarsi, autoguarirsi e autorigenerarsi.
Se da bambini ci stupivamo di come il corpo fosse in grado con il tempo di far rimarginare una ferita, sembra che con l’età adulta la maggior parte di noi si sia dimenticata dell’intelligenza intrinseca del nostro organismo, un sistema strettamente interconnesso con la mente e progettato per autoguarirsi se si trova nel giusto contesto. Il contesto è dato da fattori fisici ampiamente studiati come per esempio l’alimentazione e l’attività motoria, ma anche e soprattutto da elementi mentali e spirituali ancora oggi poco considerati dalla medicina tradizionale e in generale dal mondo occidentale: questi fattori interiori sono il risultato della percezione del contesto operata dalla mente, che si colloca a metà strada tra ambiente e corpo. E secondo quanto emerge in Heal è proprio sulla percezione del contesto che dobbiamo lavorare, affinché lo stress venga soppiantato da pensieri ed emozioni positivi che hanno una ripercussione immediata su salute e benessere. Al contrario, ignorare i campanelli d’allarme, reprimere i sintomi del disagio oppure affrontarlo in maniera convulsa senza ricercare la radice del problema né cambiare il proprio atteggiamento verso il mondo, non può che condurci sempre più in basso.
Come sottolineato dal chimico organico David R. Hamilton in Heal, «le ricerche scientifiche degli ultimi decenni dimostrano l’esistenza di una connessione tra corpo e mente. In altre parole: pensare, credere e provare emozioni causano cambiamenti chimici, fisiologici e biologici nel corpo». Se tutti siamo abbastanza convinti dell’effetto placebo, pochi sono invece consapevoli dell’effetto opposto, il nocebo, ugualmente potente, ma estremamente nocivo: «Se i pensieri vitali producono sostanze chimiche vitali, i pensieri tossici producono parimenti sostanze chimiche tossiche». Come illustrato in Heal, il pensiero negativo provoca la trasmissione di segnali caotici dal cuore al cervello, corrisponde dunque a un costante stato di stress e causa l’affaticamento del corpo, il cui equilibrio fisiologico viene compromesso in maniera cronica. Lo stesso accade con le emozioni: blocchi emotivi possono condurre a blocchi fisici. Le possibili conseguenze spaziano dalla semplice spossatezza all’ansia, fino all’insorgere di malattie croniche. Per evitare di accumulare, è dunque necessario dedicare tempo a se stessi, cambiare la percezione e il pensiero su ciò che ci circonda e liberare le emozioni. Soltanto così possiamo acquietare la mente e cambiare i segnali che penetrano nel nostro organismo.
Per dirla con il biologo Bruce Lipton, «bisogna passare dalla cosiddetta modalità “combatti o fuggi”, caratteristica degli stati di stress, alla modalità “riposa e ripara”, tipica del rilassamento». E sono proprio le emozioni e i pensieri positivi ad azionare l’interruttore. Con questo non si intende demonizzare la medicina tradizionale, ma riconoscere che quando si parla di stati di stress possiamo fare molto per noi stessi semplicemente rallentando il ritmo e prendendo tempo.
I possibili modi per avviare la svolta di pensiero ed emozioni sono infiniti: dalla danza alla meditazione, passando per le passeggiate nella natura o la psicoterapia. La scelta della via di guarigione è personale e l’unico requisito strettamente necessario è una fede sincera, che sia in Dio, nella medicina, nella capacità del corpo di guarire o in una combinazione di più entità. Sembra banale, ma per ottenere un tempo futuro di qualità per se stessi è necessario lavorare sul tempo presente e impiegarlo per coltivare emozioni e pensieri positivi: dobbiamo imparare a vedere i problemi derivati dallo stress cui siamo sottoposti nel quotidiano come preziosi campanelli d’allarme che ci aiutano a svegliarci e ci ricordano di rallentare, voltarci e affrontarli. E l’aspetto più bello di tutta la questione è che possiamo (e dovremmo) farlo sempre, non soltanto a gennaio.