L’ultima volta che si è mostrata aveva un velo che lasciava intuire il disastro che una malattia lunga 16 anni le aveva ricamato sulla faccia. Lei, una delle donne più belle e allegre e vivaci e spudorate e narcisiste che l’Italia moderna abbia conosciuta, non si nascondeva neanche quando ognuno di noi lo avrebbe fatto, titubante e preoccupato dell’immagine di sé che regalava al mondo.
Ma nessuno di noi è stato, se non forse per qualche sprazzo di ottimistica vitalità, Marina Ripa di Meana. Nessuno di noi ha volteggiato con la sua consapevole leggiadria negli anni ’80, quelli dove Milano era da bere e Bettino Craxi era il suo maître (non solo à penser). Nessuno di noi ha avuto come controfigura cinematografica Carol Alt nel pieno della sua sconfinata bellezza; nessuno di noi per i propri 40 anni ha pubblicato un libro diventato un cult, forse un pochino trash (ma che importa); nessuno di noi si è fatto ritrarre nudo e affiggere come manifesto 6 metri per 3. Nessuno di noi si è appollaiato in testa un cappellino oggettivamente ridicolo ed è riuscito a trasformarlo in un grazioso ed elegante orpello.
E, soprattutto pochissimi di noi, hanno avuto il coraggio e la sfrontatezza di rimanere fedeli a sé stessi anche quando tutto ciò in cui si era creduto crollava travolto dai congiuntivi di un Pm che si scoprì politico.
Con Marina di Meana, oggi, tutti noi perdiamo un pezzo enorme della cultura pop di questa Italia ormai manierista. Perdiamo tutte quelle sfumature di colore che da un po’ di tempo sembrano essere destinate ad appiattirsi in un’unica, tristissima, scala cromatica di grigio.
Niente più spalline su giacche rosse a doppio petto, e questo ammetto non essere un gran male, ma sarei disposta a rivestirmi da giocatrice di rugby nana, per risentire la risata di questa donna capace di attraversare un secolo coperta di visone prima e di ecopelle poi. Perché oggi di risate come la sua non se ne sentono più. Di osservazioni urticanti al buon costume e al bel pensiero, nemmeno a parlarne.
L’ultima in ordine di tempo: quella sullo scandalo sessuale che ha travolto Hollywood e ha avuto come vergine vestale Asia Argento a cui la ex contessa tirò una bordata da piegare le ginocchia, accompagnandola con un graziosissimo sorriso: «Ha fatto la sua parte per avere un po’ di pagine sui giornali. Così si è messa sullo stesso livello di grandi attrici americane. Ma non meni troppo il torrone…». Incantevole: in un furor di barricate post femministe coi fucili caricati a pallettoni di politicamente corretto, arriva lei che in un soffio le fa volar via chiarendo l’ovvio: «Se una va nella suite di un produttore… Solo l’aspetto di quel produttore la dice lunga… Un porcone».
Aveva detto l’indicibile, come spesso faceva, tirando giù le mutande dal sedere dell’imperatore. Aveva detto quello che milioni di persone avevano pensato ma che non avevano avuto il coraggio di dire. E invece lei, tra un sorriso e una confessione, aveva rimesso le cose a posto prendendosi le solite tonnellate di insulti da parte di chi, normalmente, ha appena il coraggio di attraversare la strada a semaforo verde. Che lei, Marina, stracciava tutti i rossi del pensiero comune, della banalità e della correttezza intellettuale. Raccontava il sesso, il suo sesso, quello fatto e quello mancato, con la leggerezza che solo le donne di Jorge Amado, sono riuscite ad avere. Ma lei era carne, ossa e sangue e solo per questo, per questa grazia che sapeva mettere nella narrazione dell’atto più naturale che l’essere umano possa compiere, meriterebbe un posto nel pantheon delle donne. Di quelle che, con la loro vita, hanno contribuito a scoprire le gambe dei tavoli. Di quelle che la vita è bella e pazienza se ogni tanto finisci con l’inciamparci, quel che conta è risaltare sopra ai tacchi a spillo e ricominciare esattamente lì dove sei caduta.
Marina di Meana era il sorriso dell’intelligenza che si mascherava da oca perché, si sa, saremo anche nel Terzo Millennio, ma ci sono ancora troppi uomini di potere che hanno bisogno di essere rassicurati dallo stereotipo secondo cui una donna bella deve essere stupida. Anzi, meglio: una donna deve essere almeno un po’ stupida per non essere fastidiosa.
E allora, scusate, ora vado che faccio ancora in tempo ad andarmi a comperare un cappellino da calcarmi in testa perché il mio personalissimo saluto a Marina val bene una veletta (e un tocco di mascara e un filo di rossetto).