“Francesco, secondo te che cos’è un diritto?”
Comincia così una delle conversazioni con mio figlio seienne, sperando che non si accorga che la domanda ha un secondo fine, statistico sia chiaro, capace che mi conceda una risposta solo dietro compenso… Quello che mi piacerebbe conoscere, nella Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è l’opinione di chi dovrebbe essere il primo interessato, un bambino.
“Un diritto è quando nessuno ti dice che non puoi fare questo o non puoi fare quello”. Quindi un diritto è fare quello che vuoi? “Beh sì, per esempio un diritto è anche mangiare molto cioccolato!”, mi precisa con lo sguardo serio e illuminato. “Capito. E secondo te andare a scuola è un diritto?”. “No”. Perché? “Andare a scuola è un dovere”. Perché? “Perché se no, non la chiamavano scuola dell’obbligo. Vuol dire che sei obbligato ad andare”.
Ho deciso che mi prenderò del tempo per entrare nel merito e non fargli sentire da subito il peso morale di vivere nella parte fortunata del mondo, e uscirò dall’empasse con la scorciatoia del cioccolato. Però non ha torto Francesco, le parole sono importanti. Sono andata a rileggermi la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. L’articolo 28 dice che “Gli Stati riconoscono che tutti i bambini hanno il diritto di ricevere un’istruzione, Per garantire tale diritto, l’istruzione primaria deve essere obbligatoria e gratuita per tutti. Gli Stati quindi devono controllare che tutti i bambini frequentino la scuola e devono aiutare le famiglie per permettere ai bambini di continuare gli studi anche dopo la scuola primaria”.
Un obbligo, spiegherò a mio figlio, che è a carico non suo, ma degli Stati che hanno firmato la convenzione, e che garantisce un diritto a cui, secondo un recente rapporto di Save the Children, non hanno accesso 58 milioni di bambini nel mondo. Che poi, senza andare troppo lontano, la testimonianza di Eugenia Carfora, ex preside di una scuola di Caivano Parco Verde, in provincia di Napoli, che andava a prendersi i bambini dalle case per portarli in aula, dice che anche in Italia si dovrebbe fare di più. Perché? Perché si dovrebbe fare di più?
Perché è dimostrato che l’istruzione delle nuove generazioni fa bene al Pil di un Paese? Anche, sicuramente.
Perché il percorso scolastico più facilmente porta a una professione che realizza la persona? Sì, certo.
Ma chi ha visto lo sguardo di un bambino mentre apprende una cosa nuova sa quale gioia traspare. Assicurare ai bambini il diritto all’istruzione significa regalare loro un piacere di cui godere mentre sono bambini, in quanto bambini. Quasi come il cioccolato.